Alto contrasto | Aumenta dimensione carattere | Leggi il testo dell'articolo
Home Articoli Rivista Idea L’opinione di Ana-Paula Correia

L’opinione di Ana-Paula Correia

0
0

È una ricercatrice portoghese dell’Università di Braga che fa parte del Dipartimento Educational Studies dell’Ohio State University negli Stati Uniti

IL FATTO
Gli smartphone sono diventati quasi delle appendici del nostro corpo, inseparabili da noi.
E Il bisogno di consultarli diventa sempre più pressante. quali rischi corriamo?

Ormai ne abbiamo preso atto. Gli smartphone sono diventati delle appendici del nostro corpo, non possiamo più separarcene. La loro presenza, sempre più invadente, ha creato quella che gli studiosi hanno identificato come una vera e inedita patologia, definita come “nomofobia”.
La parola stessa, in qualche modo, è figlia di un cambiamento culturale legato al digitale, perché non deriva etimologicamente dal greco ma è un acronimo ricavato dall’inglese, precisamente da “No mobile phone phobia”, letteralmente “Fobia da mancanza di cellulare”. Un fenomeno che sperimentiamo spesso, almeno molti tra noi. Quelli che più si affidano al telefonino, per lavoro o per svago. È qualcosa che infatti si verifica quando magari stiamo leggendo un libro e, seppur immersi in una bella e coinvolgente trama, non resistiamo all’impulso di prendere il telefonino per dare un’occhiata ad eventuali notifiche. Perché lo facciamo? O meglio – visto che si parla qui di casi gravi – perché ne siamo vittime?
Secondo uno studio intitolato “Computers in human behavior reports”, chi vive peggio la lontananza dallo smartphone soffre frequentemente i sintomi di un’ossessione compulsiva e addirittura, nei casi gravi, attacchi di panico. Lo stesso studio ha indicato nei giovani tra i 18 e 24 anni gli utenti più a rischio. Tra gli autori della ricerca c’è Ana-Paula Correia, professore associato al Dipartimento Educational Studies dell’Ohio State University oltre che ricercatrice alla facoltà di Filosofia e scienze sociali dell’Università Cattolica di Braga, in Portogallo. Tra le ipotesi formulate, quella che indica come le persone più tese potrebbero vedere i loro telefoni come strumenti di gestione dello stress. «Questo concetto non riguarda soltanto il telefono – ha spiegato Correia -, infatti si usa lo smartphone per altre attività come i social, per restare connessi e per sapere cosa sta succedendo agli influencer. E in questi casi, restare lontani dal telefono o avere la batteria scarica può in qualche modo interrompere la connessione e lasciare qualcuno in stato di agitazione».
Lo studio ha coinvolto 495 studenti universitari. La nomofobia si è dimostrata indipendente rispetto al genere e all’età delle persone e sorprendentemente anche rispetto allo stile di vita, suggerendo quindi la persuasività che lo smartphone ormai ha raggiunto nella vita dei più giovani.
Come reagire? Alcuni fattori protettivi sono stati riscontrati in livelli superiori di educazione e dove esistono migliori relazioni con famiglia e amici. Anche chi pratica una maggiore attività fisica sembrerebbe correre rischi minori. Ovviamente, trattandosi di un fenomeno così recente, andranno effettuate ulteriori ricerche per capire e conoscere meglio la materia. E soprattutto per individuare quali scelte saranno le più opportune, investendo nell’educazione per un utilizzo salutare degli smartphone.

BaNNER
Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial