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«Ecco perché il segno di papà vivrà per sempre»

Dopo 10 mesi di eventi dedicati a Beppe Fenoglio abbiamo raccolto le emozioni della figlia Margherita

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Dieci mesi di Cen­te­na­rio Fe­­no­glia­no. Die­ci mesi spe­ciali. So­prat­tutto per chi, Beppe Fe­no­glio, lo ha avuto come padre. Anche se, purtroppo, non ne ha il minimo ricordo: Mar­gherita Fenoglio, quel triste 18 febbraio 1963, quando lo scrittore e partigiano albese do­vette arrendersi al­la malattia, aveva ap­pe­na due anni.

Margherita, com’è stato finora il Centenario?
«Rispondo con due aggettivi: entusiasmante ed emozionante».

Proviamo a motivare la scelta?
«Entusiasmante perché con il Centro Studi – che ringrazio di cuore, dal presidente Riccardo Corino e dalla direttrice Bianca Roagna a tutti i componenti del gruppo – si è realizzato un lavoro bellissimo. Emozionante perché ho ricevuto straordinarie attestazioni di stima e affetto».

Suo padre è uno scrittore sempre molto amato.
«Lo sapevo, ma non immaginavo così tanto. Qui siamo andati oltre. È stato un qualcosa di inaspettato».

Cosa l’ha stupita?
«I messaggi della gente. Il grande affetto. E certi episodi…».

Tipo?
«Un professore nostro amico, che conosce l’opera di mio padre a fondo, è rimasto per sette ore consecutive alla mostra in Fon­da­­zione Ferrero. Poi, io e il Cen­tro Studi continuiamo a ricevere centinaia di mail, biglietti, lettere. Ma potrei continuare…».

Prosegua, ne vale la pena.
«Marco Missiroli che ha chiamato la propria figlia Margherita in omaggio a mio padre, la grande partecipazione agli eventi di Pa­lermo, Man­to­va, Mi­la­no, ol­tre 120 studenti universitari che il sabato, spontaneamente, si sono recati alla Censa con il professor Boggione, la lectio te­nuta dal professor Casadei al­l’I­stituto Italiano di Cultura di Addis Abeba…».

La spiegazione?
«Mio padre sa parlare ai giovani, anche a quelli di oggi. Milton, Johnny, Agostino… La sua scrittura e i suoi messaggi sono mo­derni, attuali, specie ora con la guerra in Ucraina. Pensi che un ragazzo mi ha detto che quando legge “Il partigiano Johnny” e “Una questione privata” arriva alla fine di alcune pagine stanco, ansimando, perché ha l’impressione di aver corso con gli stivali pieni di fango».

Il Centenario ha modificato il suo rapporto con Beppe Fenoglio?
«Lo conosco ormai troppo bene, pur non avendo, purtroppo, alcun ricordo diretto di lui, niente di nien­te. E nonostante siano trascorsi qua­si 60 anni dalla sua morte, ne parlo ogni giorno. Capita perché è Bep­pe Fe­noglio, ma anche perché so­no sta­ta cresciuta in un certo modo».

Le hanno parlato molto di lui?
«Mia mamma Luciana me ne parlava sempre, mia nonna Mar­gherita, se possibile, ancora di più. Me lo facevano “apparire” ovunque, in maniera piacevole. “Sei proprio uguale a tuo padre, non vuoi nemmeno un po’ di parmigiano sulla pasta”, mi dicevano. Oppure mi ricordavano di quando, alle 2 di notte, cercava il cagnolino. Tanti piccoli particolari che lo hanno reso “vivo” e padre, anche se non era lì fisicamente».

Le è mai pesato essere sua figlia?
«Mai. Nemmeno da ragazza».

Se ne è mai vantata?
«No. Mia madre mi ha sempre insegnato a esserne orgogliosa e ad am­mirarlo senza vanti. Ho compreso che non avevo nessun merito, ma “solo” la fortuna di essere nata da lui. Un giorno, mamma calò anche l’asso, di­cendomi: “La nonna ha avu­to la fortuna di averlo come fi­glio, tu come padre, mentre io e lui ci siamo scelti”. Per lei è stato so­prattutto il marito, prima che lo scrittore».

C’è malinconia nelle sue parole.
«Sì, ma tutto l’affetto che ho ricevuto nel Centenario e che ricevo ogni giorno è consolatorio».

Gli parla mai?
«Sempre, a voce alta. E gli sorrido».

Dove pensa si trovi adesso?
«Non saprei, ma non sono così fiduciosa che sia da qualche parte. Tuttavia, lo sento in me e con me».

Domani suo padre dove sarà?
«Ho visto tanti bambini e ragazzi – alcuni erano piccolissimi – agli eventi del Centenario. In lo­ro continuerà a vivere quel segno indelebile che ha lasciato mio pa­dre».

BaNNER
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