«Debito pubblico la palla al piede che frena l’Italia»

Abbiamo intervistato Andrea Purgatori, conduttore di “Atlantide” in onda su La7

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l tono deciso e l’esposizione suggestiva sono inconfondibili e dicono molto della serietà, della competenza e dell’esperienza di Andrea Purgatori, veterano del giornalismo d’in­chiesta italiano, autore e conduttore televisivo di successo. In vista della sua (prossima) partecipazione, da protagonista, al Laboratorio di Resistenza Permanente della Fondazione Mirafiore, dove terrà una lezione sabato 21 (i dettagli nel box a destra), noi della Rivista IDEA lo abbiamo intervistato.

Purgatori, la sua è una figura eclettica: recitazione, conduzione e scrittura giornalistica. Come si intrecciano questi talenti?
«Si intrecciano molto bene. So­no sempre stato curioso dei vari linguaggi con cui si può raccontare e ci si può esprimere. Proprio in virtù di questa curiosità ho cercato di frequentare mondi diversi come il cinema, il teatro, la satira, la televisione e naturalmente, prima di tutto, il giornalismo. Avere la capacità di conoscere i diversi linguaggi aiuta tantissimo a spiegare, e anche a capire».

Varietà di interessi che si ritrova in “Atlantide”, la sua trasmissione in onda su La7. Come nasce l’idea del programma?
«L’idea – mia e del direttore di rete, Andrea Salerno – è stata quella di provare a fare un’operazione che nessuno compie mai in televisione: mettere a confronto passaggi della nostra storia, recente o meno recente, con ciò che ac­cade nell’attualità per cercare di capire meglio come ci stiamo muovendo e dove stia­mo andando. Tale operazione è possibile perché mol­te volte si ripetono le modalità, i comportamenti e anche la storia».


Come si costruisce una puntata del programma?
«Siamo sempre sull’attualità e cerchiamo di capire quello che accade, dalla guerra alla pandemia, alle cose che possono accadere, anche in Paesi lontani. Dopo di che cerchiamo immagini che raccontino il passato e le colleghiamo al pre­sente, con materiale prodotto e girato da noi. Se­guia­mo un vero e proprio co­pio­ne, scritto come se fosse un film. Per ogni puntata preparo una sceneggiatura, che con­sente al pubblico di seguire i servizi con maggiore attenzione».

Spesso approfondisce questioni irrisolte. In Italia ce ne sono tante: crede sia un problema culturale?
«Forse lo è dal punto di vista della scarsa memoria che hanno i media nello stare su avvenimenti che non sono conclusi e necessitano ancora di essere indagati. Però appartengo alla schiera degli ottimisti, nel senso che – a mio avviso – la gran parte delle cose più terribili accadute in questo Paese le conosciamo perlomeno al 90%. Forse ci man­ca l’ultimo miglio della fotografia, come dico sempre, ma il resto lo conosciamo. Non possiamo dire di non sapere cosa è successo a Piazza Fon­ta­­na o a Ustica. Su chi ha poggiato materialmente la valigetta alla Banca Nazionale dell’Agricoltura o su chi ha abbattuto il Dc-9 possiamo discutere. Dobbiamo dire, dun­que, che in ogni caso le cose le conosciamo».

Ci sono storie che ha in programma di approfondire nelle prossime puntate?
«Procediamo tenendo conto di quelli che possono essere degli anniversari, poi però rivolgiamo un’attenzione enorme all’attualità, per cui possiamo anche cambiare idea a seconda di quello che succede. L’importante è avere un minimo di programmazione su dei fatti che, se non c’è un’attualità stringente, possono essere raccontati».

Cosa consiglia ai giovani che si avvicinano al giornalismo d’inchiesta?
«Il giornalismo d’inchiesta è fat­to di teoria e pratica. L’e­sperienza sul campo ti con­sente di capire quali sono i pas­saggi da seguire. Ge­ne­ral­mente è importante cercare sem­pre qualcosa che smentisca il percorso che stai fa­cen­do. Se non lo trovi, vuol dire che sei sulla strada giusta».

Qual è il suo parere sulla situazione politico-economica dell’Italia?
«Abbiamo un debito mostruoso: finché ce lo porteremo dietro, non rilanceremo il Paese. Indipendentemente da chi sia al Governo, non è una questione di partiti o leader. In questi decenni abbiamo sperperato una cifra colossale, che grava su ciascun cittadino e sulle nuove generazioni. Per­so­nalmente sono del parere che si debba provare a dividere questo debito. Chi può pagarlo dovrebbe farlo subito per dare ossigeno all’economia, alla sanità e alla cultura. Per me è un passaggio imprescindibile. Finché avremo questo debito continueremo a gestire il Paese con pochi soldi e poche prospettive di crescita e di miglioramento».

«Finché non si risolve questo problema il Paese avrà poche prospettive. Il giornalismo faccia il suo, raccontando senza sconti. La Granda? Può crescere ancora»

A Serralunga d’Alba parlerà di “Informazione al tempo della guerra”. Su cosa verterà la lezione?
«La guerra è un test fondamentale per l’informazione. Da una parte c’è la necessità della cronaca, quindi del racconto di ciò che sta accadendo; un racconto che però deve essere completo. Non possiamo ad esempio basarci su ciò che succede in Ucraina senza tenere conto della Russia o degli altri Paesi. Bisogna raccontare tutto, altrimenti si fa propaganda. L’informazione deve avere questo ruolo e consentire alla gente di capire meglio. Non è semplice, perché basta dire qualcosa che non piace e si viene subito accusati di essere filo-putiniani o filo-ucraini. Questa cosa a me non piace. Ho seguito per venti anni le guerre in Medio Oriente e ho cercato di raccontare tutto, senza fare sconti a nessuno. Questo è l’unico modo: non bisogna fare il tifo, ma essere lucidi e avere la serietà di raccontare anche le cose che non ci piacciono».

Quanto le fa piacere essere ospite del Laboratorio di Re­sistenza Permanente della Fon­dazione Mirafiore?
«Moltissimo. Bisogna costantemente fare delle riflessioni che aiutino a capire il sentimento delle persone e le ragioni dell’informazione. Non posso pensare a un giornalismo chiuso nella stanza. Deve spiegare il suo metodo di lavoro, le problematiche che affronta e confrontarsi con le persone».

Chiudiamo con una domanda personale. Qual è il suo rapporto con la provincia di Cuneo?
«Ho fatto il militare a Fos­sano, quindi conosco bene la Granda. È una zona con enormi risorse, che può essere ulteriormente valorizzata; pe­raltro, ha eccellenze straordinarie. In quelle zone ho in­contrato una grande attenzione per la conservazione dell’ambiente, dei luoghi in cui si vive. Credo sia un’area in cui si possono fare ancora progressi, mantenendo le eccellenze e creandone altre».

Artilcolo a cura di Domenico Abbondandolo