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«Telefonini ai ragazzi: è sbagliato dire no senza comprendere»

Rudy Bandiera, formatore e consulente, esperto di web e social: «Bisogna dare dei tempi di utilizzo e i ragazzini devono imparare ad autoregolamentarsi»

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Comunicatore e consulente Web, è docente di online marketing presso master universitari e aziende. È il socio fondatore con Riccardo Scandellari di NetPropaganda s.r.l. Il suo blog RudyBandiera.com è considerato tra i 50 più influenti in Italia in senso assoluto e tra i primi 15 nel settore costume e società. È stato indicato da Wired fra i 50 italiani da seguire su Twitter: Rudy Bandiera, 49 anni, di Ferrara, oggi è considerato un punto di riferimento del blogging italiano e del mondo digitale. La settimana scorsa è stato protagonista al Teatro Alfieri di Asti dell’incontro “Alambicco Talks – Un dibattito sul futuro delle Pmi”. «Una bellissima esperienza. E che spettacolo vedere il teatro pieno un mercoledì pomeriggio» dice Bandiera.

Come definirebbe il suo lavoro?
«Faccio formazione a tutti i livelli. Ho un background di vita e di studi del tutto fuori dalle convenzioni e uno stile di racconto non accademico visto che di fatto vengo dalla fabbrica, dalla fonderia per la precisione, che è stata per diverso tempo la mia scuola, la mia accademia. Negli anni e con lo studio, tanto studio e sperimentazione, credo di essere diventato il giusto mix tra competenze umane, soft e hard skill, modellando nella capacità di trasmettere concetti complessi in modo semplice il mio punto di forza».

Di quali tipi di formazione si occupa?
«Innanzitutto di educazione civica digitale nella scuola media, dove i ragazzi sono nell’età più critica per quanto riguarda l’utilizzo dei social. Io spiego come utilizzarli in modo sano. Mi è capitato anche di affrontare il tema del cyberbullismo».

Come si insegna ad un ragazzino ad utilizzare telefonino e tablet nel modo giusto?
«Bisogna evitare i pregiudizi e cercare di instaurare un dialogo alla pari. È controproducente demonizzare tutto quello che vediamo fare dai nostri ragazzi solo perché non lo comprendiamo. Manca un punto di dialogo. Bisogna capire ed imparare prima di dire dei no. Prendiamo i videogiochi: non è sbagliato che i ragazzi ci giochino. È necessario però far capire loro che sono risorse finite e vanno disciplinate. Bisogna dare dei tempi di utilizzo e i giovani devono imparare ad autoregolamentarsi. Così il ragazzino organizzerà i tempi di gioco in base a quelli che ha a disposizione per giocare. È inutile staccargli la corrente mentre è nel bel mezzo di una partita, bisogna fare in modo che non arrivi a quel punto, ma che si organizzi per giocare nei tempi consentiti. Tempi che vanno dati con ragionevolezza, mezz’ora al giorno ad esempio è troppo poco. Non vanno demonizzati i videogiochi. Anche perché, bisogna tenere presente che il mercato dei giochi e degli intrattenimenti sul web per ragazzi ha un fatturato di gran lunga più grande di musica e cinema. Un dato che deve farci riflettere. Non diventano migliori se non giocano ai videogiochi. Faccio un esempio: il vino, se bevuto con misura, è il gusto della vita. Se invece se ne bevono 5 bottiglie diventa alcolismo. D’altronde numerosi psicologi mi hanno confermato che sono rari i casi di ludopatia tra i ragazzi».

Quali sono gli altri tipi di formazione di cui si occupa?
«Nelle università mi occupo di master in comunicazione digital, per fare business. Anche al Senato e alla Camera ho organizzato incontri di formazione: su influencer e nuove economie e sui fake, come si costruiscono, perché ci si crede e come individuarli. E poi organizzo e partecipo ad eventi come speaker e presentatore».

In questo momento si parla molto di influencer, che ruolo hanno nella comunicazione digital?
«Quando si parla di influencer viene subito in mente Chiara Ferragni: lei in realtà è un’imprenditrice, l’influencer è un’altra cosa, è chi dirotta, “influenza” appunto, gli individui su un determinato tema. Prendiamo Andrea Galeazzi: è un ragazzo di Milano che fa test su telefonini, auto, piccola tecnologia domestica. Ha un milione e 200 mila iscritti su Youtube. Le aziende gli chiedono di testare i prodotti, prendendosi pure il rischio che li bocci. L’influencer dà a volte anche dei codici di affiliazione con i quali è possibile acquistare prodotti a prezzi scontati».

L’influencer si può quindi definire un lavoro?
«Non è connotato come tale ma porta soldi, sicuramente».

Quali sono i linguaggi comunicativi social del futuro?
«I giovani utilizzano Tik Tok e Twitch, Facebook ormai è roba per vecchi, dai 40 anni in su. Se ci facciamo un giro infatti vediamo solo post di cucina, di vacanze oppure di lamentele. Instagram ha un target più giovane, ma è stato spiazzato da Tik Tok. Su Instagram vanno anche molti utenti di Facebook, quindi i giovani e i giovanissimi gli stanno preferendo Twitch e Tik Tok. È come quando eravamo ragazzi noi, se frequentavamo un locale e poi arrivavano anche persone più grandi. Noi cambiavamo posto, non era più alla moda».

BaNNER
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