«Questa “perma-crisi” è solo colpa nostra e dei catastrofisti»

Federico Rampini: «La soluzione? Se finiremo di piangerci addosso»

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Editorialista del Cor­riere della Sera con passaporto americano, Federico Ram­­pini ha scritto un nuovo saggio (“Il lungo inverno” – Mondado­ri) per descrivere quella che lui definisce la “perma-crisi”. «A cosa mi riferisco? La perma-crisi o anche poli-crisi – energetica, economica, finanziaria, geopolitica – è la conseguenza dei nostri errori. La guerra in Ucraina, lo shock energetico, l’inflazione, non nascono all’improvviso il 24 febbraio 2022 quando Pu­tin lancia l’ultimo attacco militare. Dal 2008 con l’invasione della Georgia lui aveva gettato la maschera ma l’Occidente si è voltato dall’altra parte. Abbia­mo fatto scelte energetiche au­todistruttive quando ci siamo consegnati alla dipendenza ver­so la Russia. Abbiamo demonizzato le energie fossili, mentre la transizione richiederà decenni e poi rischia di consegnarci ad un’altra dipendenza verso la Cina. Abbiamo finto che l’energia solare e l’auto elettrica fossero “pulite”, solo perché i lavori sporchi li facciamo fare ai cinesi. Abbiamo inondato di moneta a tasso zero il pianeta, e ora come dice Warren Buffett: arriva la bassa marea e si scopre chi stava nuotando senza costume».

Qualcuno specula sui catastrofismi?

«C’è una vena apocalittica che fa parte della nostra storia, è diventata una sottocultura di massa. Ma nonostante le falsità anti-scientifiche, queste frange estremiste hanno un’immensa visibilità mediatica. Per decenni ab­biamo sentito dire fino alla nausea che il pianeta era minacciato da una bomba demografica, un eccesso di natalità; ora è cominciato un catastrofismo di segno opposto che parla di spopola­men­to. Abbiamo sentito dire che l’agricoltura non poteva sfamarci tutti: questo veniva profetizzato da pulpiti autorevoli negli anni Settanta quando eravamo la metà di oggi. Il mito sui “limiti dello sviluppo” è stato sconfessato clamorosamente per­ché poco dopo quelle previsioni ebbe inizio la più fenomenale crescita della storia umana, il decollo di Cina e India che ha salvato dalla miseria mezza umanità. L’agricoltura grazie ai metodi industriali produce mol­to più cibo di quanto serve a sfamare otto miliardi di persone, e chi purtroppo soffre di fame o cattiva nutrizione è vittima di diseguaglianze economiche, non scarsità di risorse. Dietro i falsi allarmismi ci sono tante speculazioni: c’è chi ci guadagna nel mondo della finanza, perché fa soldi sulla sindrome della penuria; e c’è chi ci costruisce sopra delle sovrastrutture ideologiche come la cultura degli aiuti ai paesi poveri o l’ideologia no border per cui l’immigrazione ci salverà da ogni male».

Cresce il giudizio negativo su Usa e l’atlantismo: perché?
«Cresce solo in Italia, paese malato di un antiamericanismo antico: le tre maggiori famiglie ideologiche del paese, cioè fascisti, comunisti e cattolici, hanno sempre avuto all’interno pulsioni antiamericane e antioccidentali. Non cresce certo l’ostilità alla Nato nel popolo ucraino, che anzi vede nell’atlantismo un sogno e una salvezza; né in Svezia e Finlandia che rinunciano ad antiche tradizioni neutraliste per entrare nella Nato e proteggersi dall’impero russo. L’an­tiamericanismo non lo vedo ne­anche nelle decine di migliaia di giovani italiani, tedeschi, francesi, cinesi e indiani che vengono a studiare e a lavorare negli Stati Uniti. Come i tanti migranti dai paesi emergenti che ancora credono nel loro Sogno Americano. In quanto alla Nato, al vertice del G20 a Bali quando arrivò la notizia del missile caduto in Polonia i dirigenti occidentali, guidati da Joe Biden, diedero prova di prudenza e moderazione. L’America fin dall’inizio dell’aggressione russa ha evitato con cura lo scontro di­retto con Mosca. In Italia i tanti putiniani sostengono una tesi assurda, per cui la Russia starebbe affrontando non l’Ucraina bensì l’intera Nato. Fanno finta di ignorare la differenza enorme che c’è tra combattere e aiutare un combattente. Applicando quel ragionamento, gli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam avrebbero potuto so­stenere che stavano combattendo contro Russia e Cina, visto che tutte le armi dei comunisti nordvietnamiti venivano da Mosca e Pechino».

Nel libro fa riferimento all’Au­sterity del 1973, in qualche modo riproposta dai lockdown nella pandemia.
«Racconto quella crisi degli anni Settanta, il primo shock energetico, perché ha molto da insegnarci. Io ero cresciuto all’estero e arrivai in Italia proprio nel 1973, con la guerra dello Yom Kippur, l’embargo petrolifero dell’Opec, le domeniche a piedi e altre misure di austerity che ricordo nei dettagli. Avevamo già allora una certa tendenza nazionale al piagnisteo, però uscimmo da quella crisi con pochi danni, eppure eravamo un paese molto più povero di oggi; e oltre alla scarsità di energia dovevamo combattere il terrorismo. Altrove nel mondo lo shock degli anni Settanta ebbe effetti salutari: si può dire che in America diede l’impulso decisivo per la nascita dell’energia so­lare e dell’auto elettrica».

L’esempio della Gran Bre­tagna sofferente nel dopoguerra: è una realtà paragonabile alla nostra attualità?
«Nel libro ricordo quell’austerity perché fu la versione originaria, la nascita del termine. Poi lo abbiamo usato a sproposito, applicandolo a misure di risparmio e razionamento molto me­no pesanti. Immergersi nella realtà del dopoguerra, ricostruire nei dettagli la sofferenza e la miseria del popolo inglese che pure aveva sconfitto il nazifascismo, può trattenerci dal vezzo dell’autocommiserazione».

La creatività come risorsa su cui puntare per uscire dalla crisi: un valore utile per ri­pensare il sistema economico?
«Il grande economista austriaco Joseph Schumpeter coniò il termine “distruzione creatrice” per descrivere il funzionamento del capitalismo. La creatività viene esaltata dall’economia di mercato, ma soffocata dalla burocrazia. La transizione verso un modello di sviluppo sostenibile sarà possibile solo grazie alle imprese che vi investono grandi capitali, non agli invasati che bloccano il traffico o ai teppisti che imbrattano quadri d’autore nei musei. La creatività sistemica insita nel Dna del capitalismo ci salvò da crisi precedenti e se smettiamo di soffocarla ci aiuterà anche stavolta. Il problema è che i cattivi maestri abbonati alle ideologie fallimentari hanno educato una giovane generazione a odiare lo sviluppo economico, lo hanno demonizzato descrivendolo co­me la rovina del pianeta. Invece è solo grazie allo sviluppo che ci salveremo. Le tecnologie di punta della sostenibilità sono nate in California e in Giappone, non in Nicaragua, perché l’innovazione ha bisogno di capitali, non di slogan».

L’assistenzialismo è una conseguenza della situazione ge­nerale o una sua concausa?
«L’assistenzialismo in Italia fa danni enormi, illude una parte della popolazione che lo Stato crei e distribuisca ricchezza all’infinito; invece per finanziare l’assistenza lo Stato continua a spremere l’unica fonte vera della ricchezza nazionale che sono le imprese. Nel libro situo la crisi italiana in un contesto più generale: c’è un declino del modello tedesco, che in questa fase non riesce più ad avere un ruolo propulsivo per l’Unione europea; e c’è un ripiegamento della globalizzazione che ci spinge alla ricerca di nuove regole del gioco, con maggiore attenzione alla sicurezza».

CHI È
Nato a Genova nel 1956, naturalizzato statunitense, è un giornalista e saggista che scrive per il Corriere della Sera. Da sempre analizza i rapporti di geopolitica ed economia tra Stati Uniti e Cina, con particolare attenzione sulle ricadute per tutto l’Occidente

COSA HA FATTO
Dopo gli esordi a Città Futura, ha scritto per Rinascita, Mondo economico e L’Espresso. È stato vicedirettore a Il Sole 24 Ore entrando poi nella redazione di Repubblica dove è stato anche corrispondente da Bruxelles, San Francisco, New York e Pechino

COSA FA
Ha appena scritto “Il lungo inverno. False apocalissi, vere crisi ma non ci salverà lo Stato”, saggio che spiega le varie facce dei problemi energetici che ci attanagliano, che cosa lega la nuova guerra fredda Usa-Cina, la guerra di Putin in Ucraina, la scarsità di energia, la recessione, il cambiamento climatico e la demografia. È spesso ospite di salotti televisivi in prima serata