«La vera America non è quella che pensate e vi spiego perché»

L’ex corrispondente Rai da New York ha presentato il suo ultimo libro a Cuneo: «Racconto gli Usa con immagini simboliche, in Europa ne arriva spesso una caricatura. Ha tante sfaccettature e cambia in continuazione, ma la sua capacità di innovare resta per noi il miglior esempio da seguire»

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Italia-Stati Uniti, ovvero amore-odio: se ne parla tanto in questo periodo dominato purtroppo da uno scenario mondiale di guerra. E se c’è qualcuno che può dire di conoscere gli equilibri geopolitici e non solo, che regolano i rapporti tra le due sponde dell’Oceano, è sicuramente Antonio Di Bella. «È un po’ la nostra ossessione», ci dice al telefono l’ex direttore di Rai 3 ed ex corrispondente dalla sede di New York. È appena passato da Cuneo per parlare del suo ultimo libro sul tema (“Gli Stati Uniti – Le immagini raccontano”, Feltrinelli) e quindi di ciò che di nuovo sta accadendo attorno al patto atlantico. Spiega perché è un argomento sempre attuale: «Non c’è italiano che non sia alternativamente filoamericano oppure antiamericano. Con questo libro ho cercato di raccontare meglio che cosa significa. Anche a chi magari conosce poco la materia, ai giovani o in generale ai lettori più pigri, usando soprattutto le immagini. Ne ho scelte 60, foto simboliche dell’America e di quello che là ho visto di persona. Le immagini raccontano tanto. Quanto vale la foto degli immigrati a New York? Dice più cose di tanti discorsi».

Quanto è cambiata negli anni l’America?

«Cambia ancora, lo fa continuamente e ci sorprende sempre, ma gli “occhiali” europei non servono a capire bene le questioni americane. Per esempio in politica: si fa confusione tra la destra e la sinistra, liberali o conservatori. Trump è stato il più grande e inatteso fenomeno politico degli ultimi anni, la sua ascesa sembrava irresistibile ma le ultime elezioni hanno mostrato che gli anticorpi della rivoluzione americana restano attivi. E così la gente si è difesa dalla sopraffazione del Trumpismo, questo è sempre sorprendente e si tratta di avvenimenti che puntualmente si riflettono sulla nostra storia nel giro di qualche anno».

Un tempo si parlava di sogno americano: è una metafora ancora valida oppure si assiste a un cambio di valutazione?
«Quando ero giovanissimo c’erano le stesse manifestazioni contro la Nato che ritrovo oggi, 60 anni dopo, a dimostrazione di come il motto “yankee go home” risorge, scompare, si inabissa e poi risalta fuori. Certo che ora l’impero americano ha una sfida tremenda davanti a sé e si chiama Cina, più pericolosa della guerra fredda, perché è una sfida economica».

Esiste un’America delle istituzioni e del potere, contrapposta a quella frammentata sul suo territorio: è così?
«C’era chi diceva che l’America non esiste. In realtà ha molte sfaccettature, compresa la sua caricatura che arriva da noi in Italia. Esiste l’America del golpe in Cile favorito da Kissinger ma anche quella di Jack Kerouac e della beat generation, l’Ame­­rica della speculazione edilizia e quella dei grandi parchi all’epoca di Roo­sevelt».

Gli Usa avranno un ruolo decisivo per la risoluzione della guerra?
«Questa guerra è molto importante per l’alleanza Europa-America. Trump si vantava di avere colloqui diretti con i leader autocrati (un po’ come lui) mentre Biden ha messo di nuovo l’accento su alleanza e valori comuni. Non credo che sia una cosa banale, perché – come scrivo nel libro – la rivoluzione francese e quella americana sono parallele ed è su quelle basi, sui diritti dell’uomo, che si fondano le radici dell’alleanza oggi in contrapposizione alle autocrazie orientali, dalla Russia alla Cina e alla stessa Turchia. Quindi è importante. Io sono europeo e filoamericano, ho ben presente il senso dell’alleanza atlantica».

L’attuale governo italiano sta portando avanti, in questo senso, il lavoro di Draghi?
«Meloni in qualche modo è stata costretta a seguire le orme di Draghi come interlocutore privilegiato nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa, anche alla luce delle difficoltà recentemente ri­scontrate a livello europeo nei rapporti con la Francia. Storicamente l’Italia ha sempre avuto un ruolo di riferimento per gli Usa, anche considerando la sua posizione geografica e le basi Nato che abbiamo sul territorio. Oggi a mio parere l’asse Roma-Washington risulta essere addirittura più saldo che in passato».

In questo contesto, quale evoluzione immagina per l’Italia, oltre la crisi?
«Non si possono nascondere le difficoltà economiche, specie per le conseguenze della sfida commerciale lanciata dalla Cina, che immagina di dominare il mondo nel prossimo secolo. La nostra posizione è difficile perché siamo noi stessi interlocutori commerciali dei paesi asiatici, sull’esempio quasi della Ger­mania che deve garantire fedeltà al patto atlantico ma ha al tempo stesso da considerare una bilancia commerciale con la Cina. Dovremo districarci da questi vincoli ma, in ogni caso, la Via della Seta dovrà cedere il passo ai rapporti che intratteniamo con gli Usa».

Dopo gli anni da corrispondente, che cosa le manca di più dell’America?
«Mi mancano tante cose in generale, ma soprattutto la sua capacità di innovare e comunque di accogliere innovazioni. Io amo in particolare New York, anche se qualcuno sostiene che non sia rappresentativa dell’America con il suo concentrato secolare d’immigrazione che la rende più affine alla cultura europea. Ma è il posto dove tutto può avvenire, pieno di vitalità. Direi che mentre nella vecchia Europa le forti tradizioni ingessano un po’ tutto ciò che ha a che fare con l’innovazione, loro sono sempre rivolti al futuro. New York e la California – con le sue app miliardarie lanciate da ventenni che cominciano già a licenziare – sono facce diverse di un paese vitale che ha ancora molto da insegnarci».

È appena stato a Cuneo per “scrittorincittà”: conosceva già questo territorio?
«Conosco bene il Piemonte, visto che ho una casa sulla sponda piemontese del Lago Maggiore dove da sempre trascorro tutte le mie vacanze estive. Questa regione, in generale, ha molto da insegnare a livello internazionale. Ho letto ad esempio che Herno vestirà gli atleti del Barcellona: come nel caso di Loro Piana, si tratta di eccellenze invidiate in tutto il mondo. La Cina ha provato a copiarle ma non c’è riuscita».

CHI È
Nato a Milano il 16 marzo 1956, figlio di Franco Di Bella (già direttore del Corriere della Sera), è attualmente direttore del genere “Approfondimento” dei canali Rai dopo aver diretto Rai 3. Ma il suo volto è conosciuto soprattutto per i trascorsi da corrispondente

COSA HA FATTO

È stato responsabile dell’ufficio Rai a New York in tre diversi periodi, con un intermezzo (fino al 2015) trascorso con lo stesso incarico anche da Parigi. Ha anche condotto in radio la trasmissione “Caterpillar” ed è stato inoltre direttore di Rai 3 e poi Rai News

COSA FA
Domenica scorsa è stato ospite di “scrittorincittà” a Cuneo, dove ha presentato il suo ultimo libro, “Gli Stati Uniti – Le immagini raccontano” edito da Feltrinelli: un racconto per immagini dei luoghi frequentati da Di Bella. Il giornalista ha scelto 60 immagini rappresentative della realtà americana commentandole in base alla sua esperienza sul campo