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Il ponte della discordia

Schmidt, direttore tedesco degli Uffizi, personalità mondiale dell’arte, è travolto dalle polemiche per la chiusura il 31 ottobre. Dicono si sia italianizzato, in realtà ha subito l’italianizzazione: perché non ha personale e aveva chiesto assunzioni invano

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La cultura non permette radici. Chi la custodisce e diffonde attraversa il mondo: ascolta vocazioni, segue richiami e ubbidisce a seduzioni. Così, nel 2015, Eike Schmidt, storico dell’arte tedesco che da sei anni lavora negli States come curatore del dipartimento di scultura, arti applicate e tessili del Minneapolis Institute of Arts, in Minnesota, partecipa a un concorso internazionale e diventa direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze, tornando in una città che è già parte della sua vita, sul piano dei sentimenti e della professione: da giovane è stato infatti borsista al Kunsthistorisches Institut e ha conosciuto Roberta, studentessa emiliana con radici romagnole, anche lei oggi storica dell’arte, diventata sua moglie, e nel 2013 è già tornato per curare “Diafane passioni”, mostra sul barocco in avorio a palazzo Pitti.
Suggestioni, ricordi, sorrisi. Eppure sfondo rispetto a una missione affrontata con cuore e rigore, sensibilità e inflessibilità, esperienza e managerialità: Schmidt modifica la gestione del museo, fonde la Galleria degli Uffizi, la Galleria Palatina, il museo di Palazzo Pitti e del Giardino di Boboli, e intraprende una battaglia legale perché la Germania restituisca all’Italia le opere sottratte dalle truppe tedesche al tramonto della Seconda guerra mondiale, in particolare il “Vaso di fiori” di Van Huysum che torna a casa nel luglio di tre anni fa, pochi mesi prima del rinnovo della carica per un ulteriore quadriennio.
Schmidt s’è laureato all’università di Heidelberg, è stato ricercatore a Bologna, curatore della National Gallery of Art di Washington e del Jean Paul Getty Museum di Los Angeles, direttore del dipartimento di Scultura e arti decorative presso le Case d’asta Sotheby’s di Londra, ha fatto parte della Commissione di Valutazione per la Fiera Internazionale dell’Antiquariato Tefaf di Maastricht ed è professore onorario della Humboldt-Universität di Berlino, ha passione radicata e competenza da vendere, eppure quando si è accorto di lui il grande pubblico italiano? Quando è scoppiata la polemica per la chiusura degli Uffizi il 31 ottobre, che era un lunedì, quindi giorno di riposo, però coincideva con il ponte che aveva richiamato migliaia di turisti. Così, il nuovo ministro dei beni culturali, Gennaro Sangiuliano, s’è scagliato contro il Direttore per un fatto “gravissimo”, causa oltre alla “perdita di introiti” di “un danno di immagine per le Gallerie e l’intero sistema museale nazionale”. Una lettera durissima, e incomprensibilmente mirata, perché non estesa agli altri musei statali come la Pinacoteca di Brera a Milano, la Galleria Borghese a Roma e l’Accademia a Firenze che, come gli Uffizi, il 31 ottobre hanno rispettato il giorno di chiusura. «Schmidt s’è italianizzato», ha ironizzato Fiorello, ma il problema è che l’italianizzazione è a monte: «Sono scandalizzato quanto il ministro per la chiusura – ha replicato infatti il direttore -. Però manca il personale»: più volte negli ultimi anni aveva richiesto assunzioni, che sono competenza statale, senza ottenere risposte, e due anni fa il tetto imposto agli straordinari ha dato un altro duro colpo alle aperture eccezionali. Meglio appuntarlo, prima di fermarsi in superficie. Che a criticare siamo buoni tutti.

BaNNER
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