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«la mia arte “illuminata” per le piramidi»

L’albese Emilio Ferro, già autore dell’installazione sul “cardiopulso” fenogliano, è protagonista in Egitto

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Da qualche giorno, Alba e Beppe Fe­noglio si trovano legati – almeno in modo ideale – alle monumentali piramidi egizie. Anello di congiunzione è il light artist albese Emilio Ferro che, dopo aver fatto rivivere il “cardiopulso” fenogliano con l’installazione di luce proposta ad Alba in apertura del Cente­na­rio dedicato allo scrittore e partigiano, ha realizzato in Egitto un’opera straordinaria capace di rendere ancora più magica la vista delle piramidi.

Nello specifico, quella di Fer­ro è la prima installazione tem­poranea di luce artistica mai realizzata ai piedi delle piramidi di Giza. Vi­sibile fino al 30 novembre, “Portal of Light” – questo il titolo dell’installazione – è parte della mostra collettiva “Forever is Now II”, organizzata da Culturvator-Art d’É­gy­pte, in collaborazione con l’Unesco e il Ministero egiziano del Turismo e delle An­ti­chità. Sullo sfondo delle piramidi di Giza, l’ultima rimasta delle Sette Meraviglie del Mondo Antico e oggi patrimonio Unesco, il progetto riunisce le opere di dodici artisti internazionali, tra cui appunto Ferro, ed esplora temi che vanno dal passato remoto al presente, per sognare il futuro dell’umanità. Ne abbiamo parlato proprio con l’artista albese, che, peraltro, a inizio dicembre, a Barolo, presso l’Astemia Pen­tita, proporrà nuo­va­­men­te l’installazione “Can­nubi On Fire”.

Emilio Ferro, come ha progettato l’opera “egizia”?
«Ispirata a due antichi papiri, il “Libro dei Morti” e il “Libro dell’Amduat”, “Portal of Li­ght” si sviluppa seguendo l’orientamento dei punti cardinali e il mutare della luce del sole durante il giorno. Due parallelepipedi in metallo seguono la perfetta inclinazione delle tre piramidi di Giza: il primo custodisce il cor­po illuminante e genera un fascio di luce capace di attraversare il secondo portale, estendendo il suo raggio per centinaia di metri».

Qual è l’effetto?
«Durante la notte, gli spettatori possono entrare nell’installazione, sotto il fascio di luce, seguendone la direzione: un’avventura immersiva per vivere il viaggio nel cielo notturno sulla barca del dio Ra, illustrato proprio negli antichi papiri».

E di giorno?
«L’opera può essere fruita anche durante le ore diurne, perché è stata progettata te­nendo conto del tragitto del sole: la luce naturale sostituirà così la luce artificiale che illumina e caratterizza l’opera durante la notte, mentre una linea metallica posizionata a terra attraversa per venti metri le due strutture e indica il cammino da percorrere du­rante il giorno».

Sono presenti anche effetti sonori?
«Sì, l’installazione è completata da un intervento sonoro. Dopo aver registrato il vento che soffia sull’Altopiano di Giza, ne ho campionato il suono per comporre la colonna sonora che abbraccia l’opera. Casse direzionali, integrate nelle strutture, modulano l’esperienza del visitatore e creano un ulteriore livello narrativo che, grazie alla forza essenziale della luce, attraversa lo spazio architettonico e naturale circostante, innescando un nuovo confronto tra arte, paesaggio e storia».

Dal “cardiopulso” fenogliano alle piramidi egizie: possiamo intendere simbolicamente la luce come un elemento capace di unire le culture ed evidenziare il valore dell’uomo? In generale, cosa possono rappresentare oggi la luce e le installazioni artistiche di questo genere?
«Ognuna delle mie installazioni ha un significato profondo, legato al luogo in cui vie­ne realizzata, non è possibile per me immaginare un’installazione se non legata allo spirito del contesto per cui viene pensata. L’elemento di luce va a creare una forte connessione sia a livello paesaggistico che antropologico».

Come ha sviluppato questa sua passione per l’utilizzo della luce in chiave artistica? C’è un fatto che l’ha influenzata in maniera particolare?

«Ciascuna esperienza della mia vita mi ha in qualche modo influenzato e mi ha portato ad avere la visione che possiedo, non ce n’è una in particolare ma l’insieme di esse. In generale, adesso, la mia visione si è delineata nel tempo e cerco di mantenerla senza farmi influenzare troppo. Anche se tutto si trasforma ed è anche questo il bello di un percorso artistico».

Lei personalmente cosa prova im­mergendosi nell’in­stalla­zio­ne realizzata a Giza?
«Provo un senso di meraviglia, gratitudine e un forte senso di responsabilità per avere avuto l’occasione di realizzare un dialogo artistico con un luogo così iconico e di tale importanza per la storia dell’umanità».

BaNNER
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