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«Ho ancora negli occhi le donne ucraine in fuga con i bimbi»

Il racconto dell’inviato Rai, ultimo a rimanere a Kiev nel giorno dell’invasione russa: «Bisognava raccontare quei momenti, il rientro nella normalità di Roma è stato strano. La mia formazione agonistica in sella a moto e bici si è rivelata preziosa. Il Piemonte è terra di motocross e salite leggendarie»

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È stato l’ultimo degli inviati Rai a lasciare il campo quando la guerra ha travolto Kiev e l’Ucraina: da Roma gli chiedevano di rientrare, ma lui era già sulla strada per la capitale presa d’assedio e ha pensato che, a quel punto, era giusto andare avanti. Coraggio o deontologia professionale, fate voi. Fatto sta che in seguito, non a caso, una ricerca eseguita da Spot and Web lo ha indicato come il cronista di guerra più amato dai telespettatori italiani.

Piergiorgio Giacovazzo, che effetto le ha fatto venire a conoscenza di questa “investitura”?
«A dire la verità non lo sapevo, lo scopro adesso da voi e vi ringrazio. Mi fa molto piacere, ma non se sia meritata».

Ci racconta come sono andate le cose in quei giorni di febbraio, quando l’incubo della guerra è diventato realtà?

«Mi trovavo già in Ucraina per raccontare quello che stava accadendo nel Donbass, ma già da alcuni giorni stavo cercando di arrivare a Kiev non senza fatica anche perché il nostro autista-traduttore si è dato alla fuga, comprensibilmente spaventato dopo la notizia dell’invasione russa. E allora ho chiesto ai miei colleghi cameraman Simone Vallucci e Luca Nicolosi se fossero d’accordo di andare comunque avanti. Non hanno avuto dubbi. Non è stato facile, in un luogo dove le indicazioni sono tutte in cirillico e dove nessuno accettava le nostre carte di credito e gli euro. Ce la siamo cavata con google traduttore e abbiamo trovato un passaggio fino a 50 chilometri da Kiev. A quel punto mi ha chiamato dalla Rai un vicedirettore per dirci che l’azienda aveva valutato che ci fossero troppi rischi in quella situazione e che quindi saremmo dovuti rientrare in Italia. Io però a quel punto sapevo di non avere altra scelta. Anche perché Cnn e Bbc erano già sul posto con le loro telecamere e le dirette, ho pensato che la Rai non poteva non avere un inviato a Kiev in quel momento. La guerra nel cuore dell’Europa andava raccontata».

Che impressioni ha ricavato in quei primi giorni?

«L’idea di un’aggressione che nessuno si aspettava da parte dei russi fino a quel 24 febbraio, un’aggressione compiuta non contro un altro esercito, ma contro il popolo: attaccando case, civili e portando barbarie che si ritenevano non più possibili in questo secolo».

Crede che questa guerra durerà ancora a lungo?
«Forse non così tanto come si pensava fino a poco fa, visto che la Russia è in crisi militare ma soprattutto politica e che Putin sta sbagliando un po’ tutto. Fin dall’inizio ha compiuto errori, anche se magari si sono visti poco, perché la dittatura non li ha fatti trapelare. Ma abbiamo cominciato a capire qualcosa di più dalle centinaia di migliaia di russi che hanno cercato di passare i confini nell’ultimo periodo».

Più che mai, questa è una guerra che annienta le persone più deboli?
«Succede sempre così, però siamo di fronte a un conflitto particolarmente “bastardo” perché attacca deliberatamente le fasce più deboli. Del resto, si tratta di una forma di comunicazione usata da Mosca in tutte le sue aggressioni: vedi Georgia o Cecenia. È una tecnica per terrorizzare le popolazioni e per farle arrendere, come accaduto in Crimea quando i militari russi sono scesi nelle strade con una grande parata militare: tutti erano terrorizzati. Invece questa resistenza ucraina ha colpito l’immaginario mondiale, credo che la racconteranno in futuro gli scrittori assieme ai tanti gesti di eroismo e altruismo di cui io stesso sono stato testimone. Un uomo che manda la famiglia all’estero e va a morire al fronte per il proprio paese è un eroe: li ho visti con i miei occhi, non è retorica. Quella gente, davanti a una scelta, ha risposto con il coraggio e il cuore degli eroi».

Cos’altro ha visto che non dimenticherà?
«Gli ucraini che fanno scappare le donne e vanno a combattere al fronte, mentre in Russia le donne restano e a scappare sono gli uomini. In un modo o nell’altro, sono tutti vittime. Però non dimentico le immagini dei 50enni e 60enni in Ucraina che vanno a combattere con la felpa verde che usavano per pescare, affrontando l’invasore che storicamente li opprime da 350 anni».

E la gente in fuga?
«Ho visto madri scappare con i bimbi in braccio e nient’altro, i volti corrosi dal freddo preso a Bucha in due settimane passate nei sotterranei al buio e al gelo, vive per miracolo».

Come è stato, dopo tutto questo, tornare alla “routine” del telegiornale?
«Dopo cinquanta giorni e due viaggi, dopo aver imparato a convivere con il suono delle bombe assieme a gente dignitosissima ma disperata, è stato traumatico rientrare a Roma. Ho rivisto volti distesi e sorridenti, mentre io sobbalzavo al minimo rumore dei lavori in corso. pensando alle bombe. Mi sono sentito un po’ in colpa. Perché siamo fortunati, abbiamo tutto, anche se ci saranno problemi che arriveranno anche qua come conseguenza di ciò che accade in Ucraina. E quando sento connazionali dire che non dovevamo occuparcene, che dovevamo pensare egoisticamente a noi ignorando quella popolazione seviziata… non posso accettarlo».

Lei è passato dal racconto delle prove su strada di nuove motociclette alla cronaca della crisi ucraina. La sua passione per i motori e per le bici ha in qualche modo avuto un ruolo nella sua scelta professionale di andare a raccontare una guerra da vicino?

«Devo dire che nella mia vita ho davvero ricevuto una formazione importante dagli sport che ho praticato a livello agonistico, ovvero motocross e ciclismo. Quelli sono sport dove arrivi al limite psicofisico, spesso hai il cuore costantemente fuori soglia. Non parliamo di partitelle tra amici. È stata un’esperienza estremamente importante anche per la mia vita di tutti i giorni. Ma è così: a volte, paradossalmente, quelle che sembrano perdite di tempo ti restituiscono esperienze preziose. A me è servito molto. Tornare poi al tg o alle notizie divertenti come quelle del Tg2 Motori mi ha fatto strano dopo Kiev (dove peraltro conto di tornare presto), ma serve anche quello. La vita è fatta di tanti colori».

Quando farà un giro in moto tra Langhe e Roero?
«Quelle sono terre di enduro, motocross e grandi salite del ciclismo, le conosco bene: terre meravigliose dove spero di tornare presto, magari anche per nuovi servizi in moto o in bici».

CHI È
Nato a Roma il 3 gennaio 1970, ha ereditato la passione per il giornalismo dal padre Giuseppe, professionista pugliese che è stato conduttore del Tg1 e poi direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno”. Inizia il percorso in Rai da giovanissimo, fino a diventare protagonista della rubrica specializzata Tg2 Motori

COSA HA FATTO
Da un anno fa parte della redazione Esteri del Tg2 e la guerra in Ucraina gli ha permesso di mettere in risalto il suo piglio da reporter di razza, capace di muoversi con sicurezza sulla scena del conflitto. Il giorno dell’invasione russa ha scelto di non rientrare a Roma per restare a Kiev

COSA FA
Effettua prove su strada per il Tg2 in sella alle moto ma anche alle biciclette messe sul mercato dalle aziende più importanti. Un’attività appassionata che alterna alla conduzione del telegiornale di Rai2 all’ora di pranzo e, come accaduto nei mesi scorsi, ai collegamenti come inviato di guerra dai territori coinvolti nel conflitto attualmente in corso in Ucraina

BaNNER
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