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«Poesia è uno show su amore, morte e anche religione»

Guido Catalano, cabarettista e poeta, porta in scena “Cose che non avremmo sperato di potervi dire” con Roberto Mercadini. «Ripercorriamo la storia della nostra amicizia. A entrambi piace ascoltare storie. E siamo ghiotti»

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«I poeti lo accusano di essere un cabarettista, i cabarettisti di essere un poeta». Si legge più o meno così sulla biografia di Guido Catalano, torinese, classe 1971, esponente di quel genere di spettacolo che unisce poesia e performance lasciando che sia l’autore dei versi a prendersi sui palcoscenici lo spazio che merita o almeno quello che riesce. Che nel suo caso non è poco poiché le sue poesie, diffuse sui so­cial, nei circoli Arci, nelle librerie, nei centri sociali, sono arrivate in breve tempo sui palchi di festival letterari e musicali, dei teatri e dei live club engagée. Fino a creare veri e propri spettacoli, come quello firmato assieme al collega e sodale Roberto Mercadini, “Cose che non avremmo sperato di potervi dire”, in tournée per l’Italia da giugno a settembre.
Ce ne parla dalla Gallura, sdraiato di fronte al mare di metà mattina, durante una pausa tra una data e l’altra, prima di rientrare in continente per il debutto di stasera, a Tortona, per il cartellone di Attraverso Festival.
«È uno spettacolo in cui ripercorriamo la storia della nostra amicizia, ormai decennale, e dei nostri rispettivi inizi, quando ancora non si usava portare la poesia sui palcoscenici. Raccontiamo il prima e il dopo ma affrontiamo anche temi importanti in chiave ironica. In questo senso è uno spettacolo ambizioso».
Quali temi affrontate?
«Parliamo di amore, morte, religione. Sull’amore sono io il più prolifico. Sulla religione invece Roberto è più competente. Ha studiato persino l’ebraico antico».
Cosa ci dobbiamo aspettare? Un excursus sulle varie religioni, una presa in giro?
«Una presa in giro no. Piuttosto un viaggio ironico sui diversi modi in cui le varie religioni affrontano, per esempio, il concetto di Paradiso o di fine del mondo. Non è la stessa cosa per gli induisti, i cristiani e i vichinghi».
Si può ironizzare anche sulla morte?
«Si può ironizzare sempre. Nell’ultima poesia immaginiamo che quando noi moriremo succederanno cose divertenti».
E sull’amore?
«Ci domandiamo cos’è l’ispirazione. Da cosa può nascere una poesia o una canzone d’amore».
Per lei da cosa nasce?
«Io ho vissuto il paradosso che riguarda molti poeti: quando sono felice scrivo pochissimo, quando soffro invece sono una macchina. Ora la situazione è un po’ cambiata. Sono felice e riesco anche a scrivere molto».
Ma come nasce una poesia? Leggendone alcune ho avuto l’impressione che ci sia una circolarità, come se alla fine volesse far tornare i conti, dimostrare una tesi contenuta nei primi versi.
«La genesi infatti è interessante. È come se arrivasse da un luogo magico (o psichiatrico o psico-magico). Nasce sempre da un’idea ma non so mai come va a finire. Le faccio un esempio: io in aereo non ascolto mai la hostess quando spiega come allacciare le cinture. Non l’ho mai fatto ma ora mi sono detto che poteva essere il motivo di una poesia».
L’ha scritta?
«Sì, è una delle più recenti».
Una di qualche anno fa si intitola Ogni tanto mi cala la not­te. Perché “mi cala”? Ha sofferto di depressione?
«La depressione è una malattia e non posso dire di averne sofferto. Però ho una tendenza all’ansia e invece di andare in analisi scrivo poesie. D’altra parte dopo due mesi di servizio militare sono stato riformato perché dal test psicologico risultavo affetto da ansia e depressione. Un po’ quello che scrive Morgan in una canzone scritta ancora con i Blu­vertigo».
A proposito di musica, in molte canzoni cita cantautori italiani e stranieri. Penso, per esempio, a Paul Simon di A sound of silence. Che musica ascolta?
«Sono un bulimico. Molta musica italiana, ma anche il country, l’hard rock, Ludovico Einaudi. E nelle poesie sono un gran citazionista: De An­dré, Guccini, il Cocciante di Margherita».
In Adelaide invece parla dell’amicizia tra uomo e donna: lei ci crede?
«Sì, ci credo ma non è facile. Ho poche amiche e mi dispiace. Ma la componente sessuale c’è e non gioca sempre a favore, un peccato».
Eppure il suo pubblico è prevalentemente femminile.
«Al settanta per cento. Sia il pubblico dei social sia quello dei teatri. A volte si portano dietro il fidanzato anche se lui non è sempre dell’idea. Le donne leggono di più».
Com’è cambiato il pubblico nel corso degli anni?
«Credo che la vera discriminante sia il pubblico pagante. Quando la gente compra il biglietto per venirti a vedere significa quasi sempre che ti conosce e ti stima».
Si considera un poeta più istintivo o più cerebrale?
«Una volta scrivevo una poesia anche in cinque minuti. Adesso impiego anche due o tre giorni e magari ne scrivo due contemporaneamente. La­voro di più dal punto di vista della forma. E soprattutto scrivo ad alta voce perché già so che le leggerò di fronte a un pubblico. A volte è imbarazzante, magari sono al bar oppure in treno e devo stare attento a limitarmi al labiale».
Ecco, appunto, veniamo alla sua “identità”: la voce di wikipedia la dà come “scrittore e poeta”, alcuni la liquidano come cabarettista, lei cosa si sente?
«A me piace l’idea di non appartenere a una categoria sola. In me c’è sicuramente una dimensione cabarettistica ma è bello soprattutto essere una fusione di cose. Roberto è anche youtuber, io no. Anni fa ho avuto un blog e mi dicevano che ero un blogger. No, io non sono un blogger, sono casomai un poeta che ha avuto un blog».
Com’è nata la vostra amicizia?
«Roberto era un giovane poeta romagnolo, si sentiva solo, non trovava persone con cui condividere la sua passione. Un’amica gli regalò un mio libro e lui scelse una poesia e fece un video su YouTube e me lo mandò. La poesia si intitola “Ti amo ma posso spiegarti”. Quando io sono andato in Romagna lui è venuto a vedermi e abbiamo cominciato a collaborare, prima in modo sporadico, poi più regolare. Fino a questo spettacolo pensato e scritto completamente insieme».
Avete mai litigato?
«No, mai. Io non sono un litigatore, non riesco nemmeno a immaginarci litigare, nemmeno adesso che stiamo insieme molto più spesso».
Cosa vi accomuna di più, a parte la poesia, nel bene e nel meno bene?
«Siamo poco pratici nella vita reale. Ci piace ascoltare le storie della gente. E siamo due ghiotti. Una delle cose belle delle tournée in giro per l’Italia è che si incontrano ristoratori ospitali che ci fanno assaggiare le loro pietanze».

A cura di Alessandra Bernocco

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