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Mario Biondi: «Io nelle Langhe bambino felice»

«Monfortinjazz una location bellissima, ho suonato qui anche con Bosso. Sono catanese ma papà era agente e mamma indossatrice alla Miroglio. “Romantic” parla di amore: ne abbiamo bisogno»

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Sarà Mario Biondi a chiudere il 5 agosto la 46esima edizione di Monfortinjazz nello splendido Auditorium Horszowski: una vera e propria festa della musica la prima edizione del ritorno alla capienza piena per il festival di Monforte d’Alba. Insieme ai suoi brani più noti il crooner catanese presenterà al pubblico i suoi nuovi album “Romantic” e “Dare”.

Partiamo proprio da “Ro­mantic”: come suggerisce il titolo è un disco che racconta l’amore in tutte le sue declinazioni. In un periodo come questo c’è proprio bisogno di parlare e di praticare sentimenti, no?
«Sì, sono sempre dell’idea che non bisogna praticare il romanticismo e il sentimento solo nei momenti critici e di sconforto, perché talvolta potrebbe essere considerato comodamente una specie di rifugio. Invece bisogna cercare di agire con bontà nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni. Questo disco in alcuni brani rispecchia il suono ed il carattere degli anni ’70, gli anni in cui la musica ci ricordava che la guerra è solo fonte di dolore. Ognuno di noi ha una vena romantica e spera che le problematiche si risolvano con il buon senso, con l’amore per il prossimo, non con violenza o ostilità. Vedo molto risentimento nelle persone, soprattutto nei giovani. Anche nella musica: i ragazzi cantano di quartieri disagiati, di famiglie distrutte. C’è solo pesantezza. Invece bisogna pensare che la vita è bella e c’è tempo per riprendersi tutto».

In scaletta ci sono sei brani inediti e nove rivisitazioni. Il filo conduttore tra le tracce, oltre naturalmente alla sua inconfondibile timbrica, è il suono rigorosamente analogico. Quali sono le motivazioni che la spingono ad andare controcorrente e continuare a preferire i suoi validi musicisti ai plug-in?

«Per questo progetto, l’idea di romanticismo mi ha fatto propendere per avere tutti i ragazzi in studio con me, con l’obbligo di guardarci. Sa, siamo tutti bravi, navigati e non più di primissimo pelo, ma non dobbiamo mai dare per scontato certe cose, per cui diventa fondamentale interagire anche solo con lo sguardo. Nel momento in cui ci ritroviamo a suonare insieme, c’è un’energia che si sprigiona fra di noi ed è importante condividerla. La scelta dei brani fa parte di questa propensione, di questo concept album legato al romanticismo. Quindi, in parole povere, il progetto “Romantic” nasce già romantico a monte e non diventa romantico a valle».

Anche in “Dare” si parla di amore, in che modo?
«Ho scelto questo titolo perché “Dare” ha due significati: in inglese vuol dire osare, in italiano appunto dare. Questo disco parla della necessità di spingersi al di là di se stessi e abbracciare il prossimo chiunque esso sia. Contro ogni individualismo».

Nel corso della sua carriera hai avuto modo di cantare più volte sia in Russia che in Ucraina, di visitare le stesse città che in questi giorni sono sotto attacco. Che spiegazione da a quello che sta accadendo?
«È un po’ così, purtroppo il passare del tempo non insegna molto, ma lo vediamo anche nel nostro quotidiano. Siamo soliti puntare il dito sulle cose evidenti e più grandi di noi, ma nel nostro piccolo non siamo da meno nel mancare di rispetto e nell’essere poco accoglienti con il prossimo. Il web in tutto questo non aiuta. Le persone si nascondono dietro ad un video e ti riversano addosso tutto il loro livore. Ov­viamente tra Russia e Ucraina c’è una questione politica antica e pregressa, dissapori che esistono dalla notte dei tempi. Putin racconta di aver deciso di difendere il suo popolo da un gruppo terroristico, quando sappiamo che la realtà è ben diversa e che gli equilibri est-europei sono saltati quando Zelensky ha strizzato l’occhio all’Occidente. Quello che mi preoccupa, però, non sono né le ragioni dell’uno né tantomeno quelle dell’altro. Il problema sono le condizioni inaccettabili in cui riversano i civili, dai bambini agli anziani. Non si può più tollerare nemmeno un minuto di quell’inferno, è davvero una situazione inammissibile».

Non è la prima volta che viene a suonare al Monfortinjazz, è una location che le piace?
«È un posto bellissimo, molto suggestivo. Qui ho suonato anche con Fabrizio Bosso, un concerto indimenticabile. Poi io sono particolarmente legato alle Langhe».

Lei è siciliano, che cosa la lega a questi territori?

«Io sono cresciuto a tartufo -ride -. Mio padre era agente e poi ispettore per la Vestebene Miroglio. E mia mamma era indossatrice. Così io da bambino venivo spesso ad Alba. E mi piaceva molto il tartufo, sono sempre stato una buona forchetta. Oggi ci aggiungo qualche buon bicchiere di vino, Barbera il mio preferito, anche se non disdegno le altre etichette. Devo dire che, da qualche anno a questa parte, anche i vini siciliani si stanno imponendo. E io ne sono orgoglioso. Ad Alba mi piace sempre tornare: alcuni anni fa la famiglia Miroglio ha voluto conoscermi, è stato un incontro molto emozionante. Mi ha fatto ripensare alla mia infanzia, ai miei amici che lo sono tuttora. Al ragazzino che ero, mai triste».

BaNNER
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