La Finlandia sempre più vicina alla Nato. Quali conseguenze per l’Europa?

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gianna gancia

Nella giornata del 12 maggio, la premier finlandese Sanna Marin e il Presidente della Repubblica Sauli Niinisto hanno sciolto le riserve: la Finlandia presenterà domanda di adesione nella Nato. Ora manca solo l’approvazione del Parlamento finlandese, che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni.
Ancora una volta, la decisione del Presidente Putin di violare il diritto internazionale attentando alla sovranità ucraina ha dato risultati opposti a quelli sperati. Una Nato indebolita, che lo stesso Macron qualche anno fa definì “in stato di morte cerebrale”, si ritrova ora non solo più unita che mai, ma sul punto di includere al proprio interno un paese rimasto neutrale per decenni.
Una nota del Ministero degli esteri russo ha dichiarato che l’ingresso della Finlandia nella Nato rappresenta «certamente» una minaccia, a cui Mosca è pronta a fornire una «risposta decisa», oltre a “misure di ritorsione tecnico-militari o di altra natura”.
Se il processo di adesione della Finlandia si concludesse con l’effettiva entrata nella Nato, cosa peraltro non scontata, visto che per entrare serve l’unanimità, gli assetti europei potrebbero cambiare profondamente. Alcuni ritengono che la sicurezza europea verrebbe identificata quasi pienamente con quella fornita dall’Alleanza atlantica, a traino statunitense e britannico. Di conseguenza, per evitare di diventare una specie di doppione della Nato, la politica di difesa dell’Ue dovrà affermare con chiarezza la propria identità.
Personalmente, sono convinta che l’entrata della Finlandia nella Nato possa rappresentare un’occasione di rafforzamento non solo per il blocco occidentale in generale, ma per la politica di difesa europea in particolare.
Infatti, già all’indomani dell’aggressione russa all’Ucraina, l’Ue si è attivata per dar vita alla Bussola Strategica, uno strumento che prevede una forza di reazione rapida europea, con i contributi militari dei diversi stati membri. Io credo che questa iniziativa sia solo il punto di partenza per la creazione di forze di difesa veramente europee, cioè federali: solo così potremmo finalmente avere uno strumento comune, che permetta all’Europa di incarnarsi nel contesto di una rinnovata difesa collettiva, sul modello delle agenzie europee come Frontex. In questo modo, l’Unione Europea vedrebbe accresciuto il proprio peso all’interno della Nato e, forse, potrà finalmente scrollarsi di dosso quella sua famosa etichetta di “gigante economico, nano politico e verme militare”.