«Accordi di filiera e prezzi più giusti per una riscossa»

Enrico Nada è il nuovo presidente di Coldiretti Cuneo: «Per superare gli ostacoli restiamo uniti»

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Enrico Nada, presidente di Coldiretti Cuneo

Il nuovo presidente di Coldiretti Cuneo è Enrico Nada, 38 anni, vitivinicoltore di Treiso.

Un risultato a grandissima maggioranza, un’importante soddisfazione ma anche una responsabilità. Qual è il primo obiettivo da raggiungere?
«Sì, grande onore e grande responsabilità. Con l’elezione mia e del nuovo Consiglio direttivo si apre una nuova stagione di battaglie a tutela di tutte le imprese agricole della provincia. La nostra è una squadra variegata per esperienze e competenze: il mix perfetto per crescere insieme e far crescere l’agricoltura della Granda. Sarà essenziale innanzitutto lavorare in piena trasparenza, coinvolgendo i soci, ascoltando le esigenze sul territorio, mettendo a fuoco i problemi concreti, dialogando, discutendo quando ce ne sarà bisogno per il bene dell’intero comparto. E, uniti, porteremo a casa i risultati che le nostre aziende attendono. C’è tanta voglia di riscossa, noi siamo pronti».

Quali ritiene che siano i problemi da affrontare?
«Viviamo un momento storico difficilissimo che ripropone questioni irrisolte e lancia sfide inedite. Incertezza sui mercati, speculazioni, lungaggini, rincari su materie prime e prodotti finiti e ribassi sui prezzi riconosciuti a produttori e allevatori: così non va! L’agro­alimentare cuneese è una certezza da cui dover partire per far crescere economia ed occupazione ma anche per tutelare ambiente, territorio e sicurezza. Lavore­remo per un sistema in grado di offrire prezzi più giusti ai produttori, filiere legate al territorio, valorizzazione delle produzioni locali, meno burocrazia e più competitività».

Quanto è importante creare un sistema per avere prezzi più giusti per i produttori?
«È essenziale perché le speculazioni lungo le filiere colpiscono i produttori e, a cascata, i consumatori. Coldiretti si è battuta per anni per introdurre una normativa contro le pratiche sleali nel commercio alimentare per garantire una più equa distribuzione del valore lungo tutta la filiera, ma ora che è stata finalmente approvata non mancano i “furbetti” che fanno orecchie da mercante e continuano a sca­ricare sulle imprese agricole il costo di un mecca­ni­smo distorto, tra offerte promozionali e sotto costo, che mina la qualità, a danno dei consumatori, e fa male all’intero comparto. Servono più controlli e pene severe per chi pensa di poter essere al di sopra della legge».

Si partirà dalle filiere del territorio?
«Certo che sì. Dialogheremo con le agroindustrie che credono nel territorio per stringere accordi lungimiranti in ogni settore produttivo, capaci di offrire nuovi sbocchi economici ai nostri produttori e di garantire eccellente qualità ai consumatori. Gli accordi di filiera sono la carta vincente per far crescere l’economia agricola perché realizzano una più equa distribuzione del valore, tutelano il reddito degli agricoltori dalle pratiche sleali e difendono i consumatori dall’aumento dell’inflazione».

Quali strascichi ha lasciato la pandemia e quali strategie si dovranno adottare per ripartire?

«Due anni di pandemia hanno scatenato corse agli accaparramenti e gravi tensioni sui mercati, segnando duramente anche noi agricoltori, che pure non ci siamo mai fermati continuando a produrre cibo tra le difficoltà. Ma questi anni hanno anche dimostrato la centralità dell’agricoltura per la sicurezza e la sovranità alimentare, tornata alla ribalta con l’inizio della guerra in Ucraina. Da questa consapevolezza occorre ripartire, più decisi che mai, più uniti che mai, ritrovando la partecipazione e il coinvolgimento di tutti i soci, dopo le restrizioni e il distanziamento degli ultimi anni».

Il territorio ha sofferto molto per questo periodo di crisi? Quali le colture più colpite e quali invece ne sono venute fuori meglio? 
«L’intero territorio ne è uscito provato ma i cuneesi, come sempre, hanno dato prova di grande resistenza. I nostri agriturismi hanno vissuto un crollo di presenze senza precedenti, gli allevatori sono stati travolti dalla crisi dei prezzi dei capi, gli agricoltori hanno subìto speculazioni, e ora c’è la guerra a portare nuove incertezze in tutti i comparti, dalla zootecnia all’ortofrutta, dai cereali alle nocciole. Ad esempio, sono tempi difficili per la carne piemontese: lavoreremo perché sia riconosciuta come merita sul mercato con prezzi che diano valore al lavoro degli allevatori. Va meglio per il latte, grazie alla filiera virtuosa realizzata con Compral, e per il vino nonostante il fardello delle pratiche burocratiche».

È possibile, secondo lei, semplificare la burocrazia?
«Non solo è possibile, è doveroso farlo. Norme ridondanti e controlli sovrapposti moltiplicano obblighi e incombenze che tolgono tempo prezioso al lavoro nelle piccole aziende della nostra provincia, oltre a rendere soffocanti e inefficaci le regole. Pensiamo alla manodopera: l’eccesso di burocrazia vincola e rallenta in maniera insostenibile le attività delle nostre aziende; serve semplificare radicalmente le procedure di assunzione per garantire flessibilità e tempestività di un lavoro legato all’andamento climatico sempre più bizzarro».

Lei rappresenta la maggiore organizzazione di imprese agricole della Granda, qual è il vostro ruolo o quale vorrebbe che fosse nel dialogo con la politica e le amministrazioni locali?
«Con 30mila imprenditori agricoli associati, pari all’85% del totale nella Granda, e una presenza capillare e costante sull’intero territorio provinciale, la Coldiretti gode di un’enorme credibilità presso le Istituzioni ad ogni livello ed è a loro che ci rivolgeremo con determinazione, forti di una rappresentatività che nessun’altra organiz­zazione può vantare, per tutelare gli interessi delle nostre imprese. Ma non solo: siamo anche al fianco dei consumatori, con i quali negli anni la Coldiretti ha costruito un dialogo continuativo e una sinergia che ci ha consentito di cambiare la percezione che i cittadini hanno dell’agricoltura, riconosciuta oggi come settore cruciale del Made in Italy».

La produzione di vino della sua cantina punta molto sul biologico. Porterà questo aspetto anche nel suo nuovo ruolo?

«Certamente, la tutela dell’ambiente sarà cruciale per la nostra agricoltura negli anni a venire. Il biologico, inteso come progetto di certificazione, avrebbe bisogno – manco a dirlo! – di una grande opera di sburocratizzazione che lo renderebbe più appetibile per molti produttori. Poche settimane fa un grande colosso agrochimico, di fronte alla minaccia di una crisi alimentare globale provocata dalla guerra in Ucraina, ha chiesto di rinunciare al bio in nome di rese produttive maggiori: impensabile! Noi imprenditori agricoli siamo orgogliosi di aver tracciato una strada che rende l’agricoltura italiana la più verde d’Europa e non vogliamo certo fare marcia indietro. E in ogni caso, che si produca con metodo biologico o con metodo convenzionale, dovremo tutti impegnarci per produzioni sempre più attente e rispettose dell’ambiente, per preservare il patrimonio unico dei nostri paesaggi e la salute di tutti».