«La rigenerazione passa dal cibo pulito e giusto»

La nuova edizione del Salone del Gusto-Terra Madre 2022 sarà ospitata al Parco Dora di Torino: «Luogo simbolo della trasformazione che è in corso»

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Carlo Petrini

La 14esima edizione di Salone del Gusto – Terra Madre 2022 cambia sede. La kermesse torinese dedicata al cibo a tutto tondo, con il suo variopinto menù di eventi, dibattiti e degustazioni, si sposta infatti quest’anno dai padiglioni di Lingotto agli spazi del Parco Dora, ex area industriale oggetto di recente riqualificazione. Qualcosa è cambiato, dunque. A dire il vero non è semplice trovare un ambito, un luogo o un progetto che negli ultimi anni non abbiano scelto la via del cambiamento attivo per sopravvivere. Siamo diversi, è innegabile. Ma abbiamo anche modificato il nostro modo di relazionarci con il cibo? Lo abbiamo chiesto a Carlo Petrini, presidente e anima di Slow Food.

L’edizione di quest’anno del Salone del Gusto-Terra Madre ha una nuova sede e forse anche una nuova direzione. Che cosa resta e che cosa c’è di nuovo rispetto al passato?
«Non a caso il tema scelto per l’edizione di Terra Madre-Salone del Gusto di quest’anno è la rigenerazione. Dopo oltre due anni di pandemia, e un’edizione dell’evento svoltasi prevalentemente online, a settembre torniamo nella nostra casa di Torino. Ri­spetto al passato resta la gioia, la consapevolezza dell’importanza e urgenza dei temi che noi trattiamo e il senso di fraternità universale che unisce i nostri nodi della rete presenti in 150 paesi del mondo. Rispetto al passato il più grande cambiamento sono gli spazi che ci ospiteranno. Quest’anno infatti l’evento si svolgerà al Parco Dora di Torino; un’ex area industriale che sta attraversando un’importante fase di trasformazione e riqualificazione urbana. La scelta di questo luogo è fortemente simbolica: nel posto dove fino a un trentennio fa sorgevano importanti fabbriche, ora si svolgerà il nostro più importante evento internazionale dedicato ai sistemi alimentari sostenibili. Già solo questo fatto da solo, lancia un forte messaggio di rigenerazione».

Come pensa che i recenti avvenimenti internazionali faranno cambiare gli equilibri economici legati ai prodotti alimentari?
«Il rischio dietro l’angolo è che i recenti sconvolgimenti portino a un ulteriore accentramento del potere nelle mani delle grandi lobby alimentari che riorganizzano i luoghi e le condizioni di mercato mantenendo come fine ultimo il profitto, e non curandosi dell’impatto ambientale e sociale di queste scelte. Per fortuna però ci sono diverse realtà, specialmente della società civile, che si stanno opponendo a queste pressioni e lavorano affinché vengano trovate soluzioni che permettano di non mettere da parte i segnali di cambiamento in chiave ecologica, che si stavano iniziando ad avvertire anche a livello istituzionale. La sfida climatica e ambientale infatti deve rimanere un focus irrinunciabile. Inoltre, auspico che questa crisi ci possa insegnare a non dare per scontato il cibo e i luoghi da cui proviene. Da un lato a livello individuale spronandoci a essere cittadini più consapevoli. Mentre a livello istituzionale sviluppando strategie e politiche che riaffermino l’importanza della so­vranità alimentare dei popoli».

La situazione ucraina sì è trasformata in poco tempo an­che in un’emergenza alimentare. Come si sta muovendo la rete di Slow Food locale e internazionale?
«In Ucraina Slow Food è presente con l’alleanza dei cuochi e con oltre 10 comunità del cibo composte da agricoltori, allevatori e trasformatori. Inoltre appena prima dell’inizio del conflitto si stava ultimando un grande lavoro di aggiornamento dei prodotti dell’arca del gusto con l’obiettivo di pubblicarne il catalogo. Lo scoppio della guerra ha sconvolto la quotidianità del­le nostre persone, e messo in pausa questo processo di ri­cerca. Nonostante questo, il pericolo non ha però costretto le persone legate alla nostra rete ad abbandonare il paese. La quasi totalità ha infatti scelto di rimanere per prevenire per quanto possibile che oltre all’immane tragedia umana, le bombe causino anche una devastante perdita di biodiversità alimentare. I cuochi invece sono rimasti a sfamare i loro connazionali in difficoltà; dai soldati ai rifugiati. Quello che sta succedendo in Ucraina è drammatico, ma la solidarietà messa in campo dalle nostre comunità e dai nostri cuochi ci riempie di orgoglio».

Questi due anni di emergenza internazionale hanno rimescolato gli equilibri e spostato prio­rità che davamo per consolidate. Quali cambiamenti con­creti positivi ha portato questo stop forzato, secondo Lei?
«Questo stop forzato ci ha permesso di riflettere su quali sono gli elementi che contribuiscono alla definizione di una vita di qualità. Abbiamo capito che il benessere non deriva dal consumo compulsivo (quello tuttalpiù è un piacere effimero), ma è dato dallo stare vicini a persone che ci amano e che amiamo, dall’appartenenza a un luogo con cui ci identifichiamo e in cui ci sentiamo sicuri, e dal saper fare piuttosto che dal comprare. Purtroppo ora si stanno andando a riaffermare le categorie di pensiero e comportamento tipiche del capitalismo (crescita, consumo, possesso, frenesia), e visto che la consapevolezza è un esercizio attivo che va praticato nella quotidianità, ho il timore che molti si dimenticheranno di ciò che hanno imparato ad apprezzare du­rante i periodi più bui della pandemia, e torneranno a comportarsi come facevano prima».

Se dovesse spiegare ad un bambino perché è importante lottare per avere un cibo “buono, pulito e giusto”, che cosa gli direbbe?
«Gli direi che è importante perché un cibo buono, pulito e giusto ci può rendere felici sotto molteplici aspetti. E visto che i bambini agiscono perlopiù in funzione di ciò che gli dà gioia e li diverte, io penso che questa sarebbe una strategia vincente. Mi spiego meglio: un alimento buono ci dà piacere quando lo mangiamo; appaga i nostri sensi e crea il desiderio per averne di più. Un cibo pulito che è stato prodotto nel rispetto della natura permette ai bambini di andare a rafforzare il legame con l’ambiente in cui vivono, sviluppando una sensibilità e un rispetto per la Terra che poi difficilmente scomparirà. Chi di noi da bambino non si divertiva a giocare all’aria aperta, a mettere le mani nella terra e a esaminare la miriade di animali che popolano il nostro suolo? Per quelli che poi hanno avuto la fortuna di avere un parente che aveva un pezzo di terra, penso al senso di appagamento che dava raccogliere fragole, ciliegie, uva, o altra frutta direttamente dalla pianta per poi portarla subito alla bocca. Arrivando poi al giusto, il cibo prodotto nel rispetto dei diritti di tutte le persone coinvolte nel suo processo produttivo è un cibo che diventa ponte per la creazione di relazioni, che non è solo una merce che consumiamo, ma è una narrazione di cui noi stessi siamo protagonisti. Un cibo che diventa fonte di convivialità e quindi di gioia».