Alto contrasto | Aumenta dimensione carattere | Leggi il testo dell'articolo
Home Articoli Rivista Idea «Spero che i lettori usino le mie parole per trovare le loro»

«Spero che i lettori usino le mie parole per trovare le loro»

“Tuffi di superficie” è il titolo del sorprendente e coraggioso esordio letterario di Paola Farinetti

0
248

A­vrebbe avuto l’imbarazzo della scelta, Paola Farinetti. Nel­la selezione dei frammenti della sua vita da riportare in un libro avrebbe potuto farsi aiutare dai tanti incontri con grandi nomi del mondo dello spettacolo, della musica e della cultura che ha frequentato in oltre 20 anni di lavoro. Oppure si sarebbe potuta adagiare su qualche aneddoto di una delle famiglie più conosciute nel­l’Al­bese, quella del co­mandante partigiano Paolo Fari­netti, poi fondatore del­la catena U­nieu­ro o, ancora, indugiare sugli anni passati al fianco di Gian­maria Testa, tra i cantautori più a­mati degli ultimi de­cenni, prematuramente scomparso nel 2016.

Niente di tutto questo. Paola Fa­rinetti ha scelto dei fotogrammi della propria esistenza in cui sono i dettagli a dare senso al tutto. Piccoli particolari che rimandano a momenti di felicità o di profondo dolore, tradotti con parole asciutte, ma mai fredde, capaci di raccontare qualcosa che è allo stesso tempo intimo e universale.

Paola, partiamo dall’inizio: galeotto fu un blog, ma an­cor più Carlo Gal­lucci…

«Avevo scritto dei racconti che in parte a­vevo pubblicato sul blog dal titolo “Tuffi di superficie”, ma non intendevo farne un libro. L’editore Carlo Gal­luc­ci, mio amico da tem­po, li ha letti e ha insistito per la pubblicazione, ma io ero terrorizzata dall’idea di rendere la cosa pubblica. Anche il blog era pubblico, ma lo concepivo come u­no spazio mio; un libro è una co­sa diversa… Mi sono fatta trasportare da lui, e alla fi­ne ha avuto ragione. D’al­­­tron­de Gal­luc­ci è una delle più importanti ca­se editrici indipendenti, riconosciuta co­me mo­dello di qualità assoluta, per cui mi sono messa in buone ma­ni».

Familiari e amici come hanno accolto la notizia di un libro in cui “tutto è intimamente au­­tentico e crudo”, come si leg­ge sulla quarta di copertina?

«Le persone che sapevano di questo libro si contano sulle di­ta di una mano o poco più. Pri­ma di procedere, ho fatto leggere tutti i racconti a mia madre, a mio figlio e ai figli di Gianmaria (Testa, ndr), perché volevo a­vere la loro ap­provazione. Se mi avessero detto che non an­dava bene, non sarei mai andata avanti».

Leggendo il libro si ha l’impressione che non ci sia la minima intenzione di compiacere il lettore. È così?

«Scrivere questa serie di racconti inanellati sino a diventare una specie di romanzo è stato per me molto liberatorio, quasi una necessità im­prescindibile. Ho lavorato tantissimo anche sulla scrittura, l’ho sorvegliata per evitare sbrodolature o l’effetto “diario personale”, con l’obiettivo di non giudicare o autogiudicarmi e di mostrare come si mostrano delle fotografie, lasciando libero ognuno di trarre la propria morale».

Quindi ha raccontato di lei, ma anche un po’ di tutti, in un certo senso?
«Anche dietro le esistenze più felici, più realizzate, anche dentro le stanze più calde ci possono essere delle correnti fredde. Volevo mostrare la superficie li­­scia del mare, lasciando poi che venisse fuori da sé l’agi­ta­zio­ne che si muove in profondità».

Ha usato le parole che servivano, non una di più non una di meno…

«Sono consapevole del fatto di aver usato anche termini crudi: ho chiamato con il loro nome concetti e cose per i quali, in genere, si utilizzano giri di parole o eufemismi. E poi, quando ho sentito che il libro per me era finito, non mi sono chiesta se fosse lungo o corto, perché in ogni caso non sarei riuscita ad aggiungere altro».

Per chi è una lettrice forte come lei non è ancora più difficile trovare il coraggio di scrivere un libro?
«Il mio timore vero, più che il fatto di mettere in piazza brandelli della mia vita, è sempre stato quello di aggiungere parole inutili alle tante già pubblicate. Si tratta di una preoccupazione ancora non tacitata. Per terminare il libro so­no stata quattro giorni in Sardegna e proprio lì ho finito di leggere “Furore” di Steinbeck. Ho avuto una specie di “sindrome di Stendhal” della letteratura a leggere “Fu­rore”. Quando ti confronti con giganti di questo tipo, le do­mande che ti poni do-po sono enormi».

E che risposta si è data?
«Che esistono i giganti e poi esistono le persone, categoria alla quale appartengo, così mi sono fatta coraggio e sono andata avanti».
A proposito di scrittori, sulla fascetta di copertina è riportato un commento della finalista del Premio Strega 2017, Teresa Ciabatti…
«Non avrei mai potuto scrivere questo libro se non avessi letto e apprezzato “La più amata” di Teresa Ciabatti. Lei mi ha fatto capire che si poteva, che non era vietato scrivere in quel modo lì, trattando quel tipo di argomenti».

“Tuffi di superficie” esce oggi, giovedì 24 febbraio. Che cosa si aspetta da questo libro?
«Non so bene cosa aspettarmi. Di sicuro mi auguro che chi lo leggerà ne approfitti per scavare un po’ dentro di sé e, usando le mie parole, trovare le sue».

Con la pubblicazione del libro non è che si metterà in competizione con suo fratello Oscar, il quale ha all’attivo già diverse opere?
«Non voglio di certo ingaggiare una gara di questo genere, an­che perché io e mio fratello siamo molto diversi, anche nel modo di scrivere».
E poi lui è stato aiutato dalla scimmietta che dalla sua spalla gli ha dettato per intero l’ultimo libro, “Never quiet”.
«Già, io invece ho scritto sen­za l’aiuto di scimmiette e ho fatto quello che potevo (sorride, nda)».

BaNNER
Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial