Avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta, Paola Farinetti. Nella selezione dei frammenti della sua vita da riportare in un libro avrebbe potuto farsi aiutare dai tanti incontri con grandi nomi del mondo dello spettacolo, della musica e della cultura che ha frequentato in oltre 20 anni di lavoro. Oppure si sarebbe potuta adagiare su qualche aneddoto di una delle famiglie più conosciute nell’Albese, quella del comandante partigiano Paolo Farinetti, poi fondatore della catena Unieuro o, ancora, indugiare sugli anni passati al fianco di Gianmaria Testa, tra i cantautori più amati degli ultimi decenni, prematuramente scomparso nel 2016.
Niente di tutto questo. Paola Farinetti ha scelto dei fotogrammi della propria esistenza in cui sono i dettagli a dare senso al tutto. Piccoli particolari che rimandano a momenti di felicità o di profondo dolore, tradotti con parole asciutte, ma mai fredde, capaci di raccontare qualcosa che è allo stesso tempo intimo e universale.
Paola, partiamo dall’inizio: galeotto fu un blog, ma ancor più Carlo Gallucci…
«Avevo scritto dei racconti che in parte avevo pubblicato sul blog dal titolo “Tuffi di superficie”, ma non intendevo farne un libro. L’editore Carlo Gallucci, mio amico da tempo, li ha letti e ha insistito per la pubblicazione, ma io ero terrorizzata dall’idea di rendere la cosa pubblica. Anche il blog era pubblico, ma lo concepivo come uno spazio mio; un libro è una cosa diversa… Mi sono fatta trasportare da lui, e alla fine ha avuto ragione. D’altronde Gallucci è una delle più importanti case editrici indipendenti, riconosciuta come modello di qualità assoluta, per cui mi sono messa in buone mani».
Familiari e amici come hanno accolto la notizia di un libro in cui “tutto è intimamente autentico e crudo”, come si legge sulla quarta di copertina?
«Le persone che sapevano di questo libro si contano sulle dita di una mano o poco più. Prima di procedere, ho fatto leggere tutti i racconti a mia madre, a mio figlio e ai figli di Gianmaria (Testa, ndr), perché volevo avere la loro approvazione. Se mi avessero detto che non andava bene, non sarei mai andata avanti».
Leggendo il libro si ha l’impressione che non ci sia la minima intenzione di compiacere il lettore. È così?
«Scrivere questa serie di racconti inanellati sino a diventare una specie di romanzo è stato per me molto liberatorio, quasi una necessità imprescindibile. Ho lavorato tantissimo anche sulla scrittura, l’ho sorvegliata per evitare sbrodolature o l’effetto “diario personale”, con l’obiettivo di non giudicare o autogiudicarmi e di mostrare come si mostrano delle fotografie, lasciando libero ognuno di trarre la propria morale».
Quindi ha raccontato di lei, ma anche un po’ di tutti, in un certo senso?
«Anche dietro le esistenze più felici, più realizzate, anche dentro le stanze più calde ci possono essere delle correnti fredde. Volevo mostrare la superficie liscia del mare, lasciando poi che venisse fuori da sé l’agitazione che si muove in profondità».
Ha usato le parole che servivano, non una di più non una di meno…
«Sono consapevole del fatto di aver usato anche termini crudi: ho chiamato con il loro nome concetti e cose per i quali, in genere, si utilizzano giri di parole o eufemismi. E poi, quando ho sentito che il libro per me era finito, non mi sono chiesta se fosse lungo o corto, perché in ogni caso non sarei riuscita ad aggiungere altro».
Per chi è una lettrice forte come lei non è ancora più difficile trovare il coraggio di scrivere un libro?
«Il mio timore vero, più che il fatto di mettere in piazza brandelli della mia vita, è sempre stato quello di aggiungere parole inutili alle tante già pubblicate. Si tratta di una preoccupazione ancora non tacitata. Per terminare il libro sono stata quattro giorni in Sardegna e proprio lì ho finito di leggere “Furore” di Steinbeck. Ho avuto una specie di “sindrome di Stendhal” della letteratura a leggere “Furore”. Quando ti confronti con giganti di questo tipo, le domande che ti poni do-po sono enormi».
E che risposta si è data?
«Che esistono i giganti e poi esistono le persone, categoria alla quale appartengo, così mi sono fatta coraggio e sono andata avanti».
A proposito di scrittori, sulla fascetta di copertina è riportato un commento della finalista del Premio Strega 2017, Teresa Ciabatti…
«Non avrei mai potuto scrivere questo libro se non avessi letto e apprezzato “La più amata” di Teresa Ciabatti. Lei mi ha fatto capire che si poteva, che non era vietato scrivere in quel modo lì, trattando quel tipo di argomenti».
“Tuffi di superficie” esce oggi, giovedì 24 febbraio. Che cosa si aspetta da questo libro?
«Non so bene cosa aspettarmi. Di sicuro mi auguro che chi lo leggerà ne approfitti per scavare un po’ dentro di sé e, usando le mie parole, trovare le sue».
Con la pubblicazione del libro non è che si metterà in competizione con suo fratello Oscar, il quale ha all’attivo già diverse opere?
«Non voglio di certo ingaggiare una gara di questo genere, anche perché io e mio fratello siamo molto diversi, anche nel modo di scrivere».
E poi lui è stato aiutato dalla scimmietta che dalla sua spalla gli ha dettato per intero l’ultimo libro, “Never quiet”.
«Già, io invece ho scritto senza l’aiuto di scimmiette e ho fatto quello che potevo (sorride, nda)».