«Le mie pagine social? Cibo, birre artigianali e autoironia»

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Le pagine social di Chiara Ca­valleris sono un’alternanza di esperienze gastronomiche, vini, birre artigianali provate e “outfit” da urlo, il tutto condito con una sa­piente spolverata di ironia. Chiara infatti, nei suoi post, non parla soltanto di nuovi prodotti sul mercato e di location indimenticabili, come spesso accade di scorgere guardando altre pagine di professionisti del mondo del “food and wine” ma si apre, senza ma­schere, a riferimenti più personali con la leggerezza che caratterizza il suo tono di voce. Nella sua bio si definisce con poche parole che ne caratterizzano il tono tagliente e divertito: “Gior­nalista, appassionata di bir­re, gastronoma, vamp”. «Il racconto sui social di chi si occupa per professione di enogastronomia tende a essere molto verticale», ammette la giornalista. «I post hanno soggetti simili tra loro e ci si perde in descrizioni delle degustazioni così dettagliate da risultare criptiche per i lettori. Se da un lato è certamente interessante per gli addetti ai lavori, dall’altro bisogna considerare che il tutto è frutto di un’esperienza personale che difficilmente riesce ad arrivare per intero al fruitore della pagina. Sui social, come nella vita, la butto spesso sull’ironia, raccontando un po’ di quello che vivo. Per questo vado oltre a quello che assaggio o ai posti che visito».
Continua la gastronoma di origine al­bese: «Essendo piuttosto trasparente, non ho fatto mistero nemmeno del mio rapporto un tempo conflittuale con il cibo, un problema che, mi sono resa conto negli anni, non di rado riguarda chi, come me, decide di occuparsene per tutta la vita, scegliendolo come professione. So che suona come un cliché, simile a coloro i quali sostengono che chi studia psicologia abbia in realtà qualcosa di irrisolto. In realtà credo si tratti di volgere al positivo qualcosa che ci ha fatto soffrire. Nel mio caso è andata così: considerato che avevo un problema da risolvere con il cibo, ho deciso di occuparmene fino in fondo e di trasformarlo in una professione, facendolo diventare per me un motivo di gioia».