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Genio a dodici anni

Con un quoziente intellettivo pari a centosessantadue, identico a quello dell’astrofisico Stephen Hawking e superiore perfino a quello (stimato) di Einstein, il britannico Barnaby Swinburn ha davanti a sè un futuro potenzialmente molto brillante, anche se non mancheranno le insidie sulla strada

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A nove anni Blaise Pascal scrisse un trattato sui corpi vibranti. E a undici sviluppò il suo primo teorema matematico. Un esempio fra tanti: piccoli geni, predestinati. Come potrebbe essere Barnaby Swinburn, dodici candeline spente e centosessantadue di quoziente intellettivo, il massimo possibile in rapporto all’età, identico a quello dell’astrofisico Stephen Hawking e superiore perfino a quello di Einstein, ovviamente solo stimato, perché mai soggetto al test. Chissà che vanagloria tante mammine nostrane che pensano d’avere in casa Mozart (prime composizioni a cinque anni) per aver iscritto il pargolo al corso di flauto dolce, mentre lady Ghislaine (sarà modestia, realismo o semplice aplomb “british”) s’è limitata ad allargare le braccia e accennare un sorriso: «Mi ero accorta che era intelligente». Certo, che fosse superiore alla media non era complicato da ca­pi­re, anche a voler ignorare la facilità, la naturalezza, quasi il piacere nel ri­solvere complicati compiti di matematica: bastava riflettere sul regalo chiesto per Natale, né videogiochi né capi griffati, né biciclette né aggeggi informatici, Barnaby ha tranquillamente domandato di trovare sotto l’albero criptovaluta. A esportarne la fama, le promesse e, ahimè, le pressioni oltre Bristol, la sua città, è stata l’ammissione al Mensa, club oxfordiano fondato nel 1946 con l’intento di riunire i cervelloni d’oltremanica, unico requisito il q.i. d’elite: s’è iscritto da solo, senza dire niente in famiglia, «per misurare le sue qualità» e mamma, ancora lei, appreso dell’iscrizione al test, ha commentato serafica che s’apriva un bivio: abbattersi e arrabbiarsi in caso di bocciatura, o diventare insopportabile in caso di promozione assumendo coscienza della superiorità intellettiva. In realtà è rimasto tranquillo, nemmeno un filo di presunzione: continua a essere se stesso, scherzoso come in classe e ricco d’interessi, solo innamorato di matematica e chimica e ambizioso, desideroso d’approdare in fretta all’università di Oxford: una prima garanzia davanti a un traguardo prestigioso che però spesso s’è rivelato trappola perché troppi geni precoci si sono rivelati tali solo nelle materie di competenza, finendo per diventare infelici, inespressi e incompiuti, estranei al mondo reale, incapaci di realizzarsi davvero nonostante voti altissimi, composizioni brillanti, test durissimi risolti in un baleno come quiz delle elementari. Spiegano che taluni, non pochi, scappano, tornano nell’anonimato, alcuni nemmeno completano l’università, soffrono di solitudine. Capita che s’inceppino, s’abbattano alle prime difficoltà inevitabili, d’altronde sono abituati a eccellere sin da piccini e faticano a gestire non già un fallimento, ma una semplice ricaduta nella normalità. C’è chi, dopo essere stato genietto, s’è rifugiato dietro la cassa d’un supermarket.
A Barnaby auguriamo di crescere felice e sereno, appagato da mille piccole e grandi cose e non solo dai successi scolastici, circondato da amici che non siano solo cervelloni, perché la vita ha mille sfaccettature e propone prove svariate, per molte delle quali il test d’intelligenza non basta. Gli auguriamo di diventare Pascal, Mozart e Einstein ma di essere sempre, soprattutto Barnaby, con la sua età, i suoi problemi e i suoi sogni. Quelli di tutti i ragazzi del mondo.

BaNNER
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