Cuneo: tradizione, responsabilità e sguardo al futuro

Il prefetto Fabrizia Triolo traccia un bilancio soddisfacente del suo primo anno in Granda

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Giunti ormai alle ultime settimane del 2021, risulta particolarmente interessante, a poco più di un anno dal suo insediamento, fare il punto della situazione con il Prefetto della Provincia di Cuneo, Fabrizia Triolo.

Come giudica questo suo primo anno a Cuneo?
«Sono arrivata in pieno periodo Co­vid, con alle spalle già un anno di emergenza vissuto, sempre in Piemonte, ma in un altro contesto territoriale. Ho vissuto questo mio primo anno a fianco di tutte le componenti della società civile. Un anno di aspettative, delusioni e, talvolta, tensioni. Un tempo trascorso nell’intento di valorizzare le potenzialità degli uffici della Prefettura, indeboliti anch’essi dalla crisi pandemica, e con lo sguardo proteso verso l’esterno cercando di cogliere le chiavi per rendere meno faticoso il comune cammino. Un tempo complesso e di continue sollecitazioni: il rapido avvicendarsi del quadro regolatorio e la fluidità delle condizioni che ci siamo trovati tutti ad affrontare, con scenari sempre mutevoli ha richiesto una capacità di risposta diretta, non improntata al ricorso di particolari rigori formali.

Quali sono le priorità che si è posta?
«Una su tutte: quella di seguire l’evolversi della situazione stando accanto a quanti si sono trovati ad affrontare difficoltà quotidiane e che hanno richiesto, talvolta, solo comprensione e segnali di fiducia. Ho partecipato a momenti difficili, sempre vissuti dalla comunità, con grande compostezza e sempre nel rispetto delle regole sociali».

Di cosa si reputa soddisfatta?

«Del consolidamento del rapporto con il personale della Prefettura: grande impegno comune senza sottovalutare l’importanza della leggerezza, soprattutto nei momenti più bui. All’esterno mi sono misurata con tutti i portatori di responsabilità istituzionali e devo riconoscere che parte della mia forza e della mia serenità mutuano, oggi, dall’incontro con figure di elevato profilo umano e professionale. Tutti consapevoli del proprio ruolo individuale ma, ciascuno, parte di un tutto. Da subito una comunicazione diretta e fluida.
Sono stata accolta con fiducia e spero di aver corrisposto con la stessa generosità con al quale sono stata ricevuta».

Quali sono le caratteristiche di questo territorio che l’hanno colpita rispetto alla precedente realtà in cui ha operato?
«Cuneo è una realtà dimensionata su livelli diversificati in termini di quantità e qualità produttive; c’è una pluralità im­prenditoriale ed economica che, a volte, si rispecchia anche in aree geografiche ben distinguibili. Le molteplici vocazioni del territorio unite a una diffusa cul­tura del lavoro e a un’etica consolidata hanno consentito al territorio di attraversare questo tempo “sospeso” in paziente attesa. Ne è testimonianza il risveglio degli indici di produttività ai primi segnali di ripresa».

Con l’ingresso del “green pass” rafforzato e le nuove normative Covid cosa crede farà la differenza?
«Mai come in questo momento i comportamenti individuali fanno e faranno la differenza. Una comunità così ordinata e rispettosa delle regole risponderà di conseguenza. È oramai patrimonio comune, entrato nell’esperienza individuale di ciascuno di noi, che “non vi è libertà senza responsabilità”. Ci siamo già misurati con la necessità di vivere rinunce e limiti alle agibilità personali e questo territorio ha disvelato una grande capacità di attenersi alle linee tracciate. A comprova, mi piace ricordare l’elevata partecipazione alla campagna vaccinale, il rispetto delle regole, l’esigua percentuale di violazioni alle disposizioni vigenti e, non da ultimo, le stesse modalità di espressione del dissenso».

Lo scorso 22 ottobre ha partecipato all’evento “Dialoghi in rosa” organizzato all’interno di Alba Capitale della cultura d’impresa, dove oltre a lei c’erano altre donne che ricoprono ruoli importanti in Granda. Avere donne protagoniste è ancora un’eccezione o finalmente è un dato di fatto della nostra società?
«Direi che la presenza, sempre più cospicua, delle donne sia un’evoluzione culturale del paese che vede, oggi, figure femminili sempre più presenti nei tavoli decisori. Non l’avverto con stupore e ancor meno vedo sorpresa negli interlocutori nell’osservare componenti “rosa” impegnare ruoli di alta responsabilità e in perfetta osmosi col territorio. La figura femminile non è più un’eccezione che si distingue; è entrata nella quotidianità culturale».

La sua carica istituzionale richiede una dedizione a 360 gradi. Come si concilia con famiglia e affetti?
«La famiglia originaria è quella che mi ha offerto gli strumenti e che mi ha messo, anche con l’esempio, nelle condizioni di esprimere una professionalità, inculcandomi serietà e senso del dovere. Ho perso prematuramente le figure di riferimento e da vent’anni a questa parte la mia famiglia è costituita da mio marito, compagno di tutte le scelte. Il nostro è un impegno totalizzante e come mi disse una volta un anziano Prefetto: “Questo lavoro si può fare solo in un modo, altrimenti è meglio non farlo”. Oggi ne capisco il senso: è un servizio in cui ci si deve spendere senza condizioni, “ascoltando il territorio”, sen­za soluzioni di continuità e tenendo sempre elevata la so­glia dell’attenzione. Anche se il tempo condiviso si limita ai fine settimana, partecipo molte delle mie preoccupazioni e condivido le mie scelte più importanti con mio marito. Mi sono sempre sentita sostenuta e non ho mai dovuto fare delle rinunce».

Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai cittadini?
«Quello di tenere alta la fiducia! Quando parlo di fiducia, intendo in se stessi, nelle istituzioni, nella buona politica e nella sanità, perché se teniamo la barra dritta ne usciamo presto e tutti insieme. Bisogna trovare il coraggio di vivere i momenti negativi con il proposito di poterne uscire rafforzati; credo questo sia uno degli insegnamenti che ci viene dall’esperienza di vita».