«La comicità serve ad esorcizzare i nostri problemi»

Leonardo Manera parla del suo spettacolo, “Segni di vita” (e non solo)

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Come sarà la giornata tipo di un attore, imitatore cabarettista, conduttore ra­diofonico, uno che si è finto ventriloquo, depresso, analfabeta, alienato e chissà quanto altro ancora? Lo chiediamo al diretto interessato, che sabato 27 novembre alle 21,30 sarà al Palco 19 di Asti all’interno del FestivaLieve (biglietto a 16,50 euro, su festivalieve. com), per raccontarcelo senza me­diazioni nel suo nuovo spettacolo “Segni di vita”. E staremo a vedere come si presenta al di qua dell’involucro, dalla mattina alla sera. Ve­dremo che abito sceglierà di indossare per rifarsi vivo dopo mesi e mesi di reclusione.

Leonardo Manera, ci dia un’anticipazione.
«Si tratta di un monologo in cui racconto la giornata tipo di un uomo qualunque, scandita da momenti ordinari di vita quotidiana: colazione, rac­colta differenziata, figli da accompagnare a scuola, pau­sa pranzo e avanti così. La domanda che mi faccio, dopo questo periodo di lockdown, è se davvero la tecnologia, lo smart working, la dad e la vita tutta, così tecnologica, da mattino a sera, ci faccia stare meglio oppure sia causa di ansia, il male tipico dei nostri tempi, e infelicità».

E qual è la risposta?

«La risposta è che ci sono modi per essere felici pur stando alle regole della nostra società, ma d’altra parte queste regole ci tarpano anche le ali. Insomma un po’ ci rincoglioniscono».

Ma allude anche alle regole per difenderci dal virus?

«No no, non c’entra la pandemia. Penso al modo di vivere in generale, penso a certe regole della comunicazione di massa scambiate per regole di vita generali. Al bisogno di tatuarsi, come se fosse un tatuaggio a dare senso alla vita, di farsi selfie con i personaggi famosi. Penso anche ai genitori che rimproverano i figli che passano il tempo con i videogiochi e suggeriscono loro di leggere libri. Ma poi peccato che di libri in casa non ce ne siano, a parte Le ricette di cucina di Benedetta Parodi».

Immagino che siano suggestioni dallo spettacolo. Invece cosa dovrebbero fare i genitori per invogliare i figli adolescenti a leggere?

«Credo che solo con l’esempio si possa ottenere qualcosa: leggendo e raccontando quel che si è letto, incuriosendo. Con la coercizione si ottiene ben poco. Non credo nel terrorismo educativo».

Cosa rappresenta per un attore comico il “politically correct”?
«È un grosso limite pensare che ci sia sempre qualcuno che si possa offendere. Ci so­no argomenti legati alla sofferenza su cui bisogna fare attenzione ma non bisogna lasciarsi sopraffare. La comicità serve a esorcizzare i problemi della vita, non a crearne di nuovi».

Chi sono i suoi modelli?
«A livello mondiale penso a Buster Keaton. A Milano, in­vece, avevo conosciuto Wal­ter Valdi, che non c’è più, au­tore tra l’altro di molte canzoni di Enzo Jannacci».

Il teatro e la radio: due canali di comunicazione. Qual è la principale differenza di approccio?

«Nella radio prevale la dimensione del racconto, il teatro in­vece non può prescindere dalla battuta, lo spettatore è presente ed è fondamentale stabilire un ritmo con il pubblico».

È capitato che il pubblico languisse o non approvasse? Nel caso cosa si pro­va?
«Ho fatto spettacoli di fronte a 3.000 spettatori, a 11.000 ma anche davanti a dieci. All’inizio se andava male mi demoralizzavo, ora so che può capitare. L’importante è che non capiti spesso».

Come spettatore cosa preferisce?
«Spettacoli e film drammatici, anche perché possono offrirmi spunti comici. Il comico è solo l’altra faccia della tragedia».

Come passa il tempo libero?
«Da quando sono un padre se­p­a­rato con un figlio adolescente non ho più tempo libero».

Che rapporto ha con suo fi­glio?
«Un buon rapporto. Gioco con lui, mi sforzo persino di cucinare. Fosse per me scongelerei soltanto».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco