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«Elisabetta un esempio di fedeltà al ruolo donna senza paura»

Caprarica: «A noi italiani manca la memoria collettiva»  L’ex corrispondente Rai da Londra, che sabato 27 sarà ad Asti per FestivaLieve: «Un’icona pop. A quasi 96 anni la sua resistenza fisica appare straordinaria. Ma non sappiamo nulla dei suoi sentimenti. La riservatezza e il rispetto dei piemontesi sono tratti di civiltà molto simili allo stile inglese»

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Antonio Caprarica, ha da poco scritto un nuovo libro su Eli­­sa­betta. Lei che la conosce be­ne, ci dica: che personaggio è la regina d’Inghilterra?
«Una fuoriclasse. A tal punto che verrebbe da dare ragione a chi la considera veramente una highlander. Ha attraversato più epoche, oggi che ha qua­si 96 anni la sua resistenza fisica appare straordinaria, anche dopo alcune vicissitudini sanitarie. Però tutti noi siamo così abituati alla sua pre­senza, che da oltre 70 an­ni ci sfugge quanto questa sua dimensione pubblica ri­spec­chi effettivamente la sua vita pri­vata. Questo per i suoi biografi è da sempre un enigma. Che donna si nasconde oltre la dimensione della regalità? Ne sappiamo veramente po­co».

Questo è molto inglese, non trova?
«In parte sicuramente. Negli anni ’80 il Times, in un editoriale, ringraziò Elisabetta perché, in quelli che allora erano stati i primi 54 anni del suo regno, mai aveva lasciato scivolare la sua maschera. Solo in Gran Bretagna poteva essere un complimento. Da noi avrebbe avuto tutto un altro significato: vi immaginate? Co­me dire: grazie, Pre­si­dente, per non aver mai lasciato trasparire un’emozione. Invece per gli inglesi si tratta di un complimento au­tentico, la Regina non è mai venuta meno al suo compito istituzionale. Quindi sì, è un valore molto inglese. Come le camminate nei boschi, nella brughiera, come l’amore per la natura e per i cani, i cavalli. Come la distinzione tra questioni private e apparenza. Se c’è una prova che Elisabetta ne incarni al meglio l’essenza, basta pensare alla sua particolare abilità che le ha permesso di non farsi mai scalfire dai sentimenti. Quasi come se, nel pieno dei suoi poteri, avesse deciso di abrogare le emozioni. Nel suo ruolo di statista però le questioni private sono tali fino a un certo punto. Le vicende dei reali inglesi sono sempre state di dominio pubblico. Eppure, an­­che per quanto riguarda le polemiche che hanno portato all’allontanamento di Harry e Meghan, al di là del disappunto e del rammarico degli altri componenti della famiglia, è prevalso l’appello di Elisa­betta a risolvere in casa ogni questione, senza reazioni a­spre e risentite. Anche in questo caso, ha mostrato abilità eccezionali di conciliazione, di “conflict avoiding” applicato alla perfezione».

E rispetto ai nostri tempi, come definirebbe la Regina?

«Un’icona pop. Merito anche della proverbiale capacità di adattamento dei Windsor, questi signori di origine tedesca che nel 1917 capirono che il Casato degli Hannover non poteva mantenere quel nome mentre c’era una guerra contro la Germania. Eli­sabetta è sempre stata attenta anche ai cambiamenti del linguaggio. Il suo inglese parlato dalle classi alte si è negli anni adeguato a quello utilizzato dai suoi nipoti, l’inglese internazionale, che riflette anche dell’influenza di cinquanta diverse etnie sulle sponde del Tamigi. Ancora una volta la Regina ha saputo mostrarsi elastica, agile, anche se alle prese con un nipote scavezzacollo. Lei, l’ultima donna vittoriana, è stata capace di adattarsi alla modernità».

Per esempio anticipando l’urgenza delle questioni climatiche?
«I Windsor hanno saputo adattarsi al nuovo secolo, han­no capito che avrebbero dovuto avere un nuo­vo ruolo. E sulle questioni climatiche sono stati sem­pre attivi, già con Filippo (uno dei fondatori del Wwf), con lo stesso Carlo e poi con William».

Possiamo definire Elisabetta una donna di successo?

«È stata la prima donna del ’900 a infrangere le antiche regole. Certo, rispetto ad al­tre protagoniste della storia ha avuto il vantaggio di essere regina per natura, ovvero la monarca e sovrana designata, però si è dovuta confrontare in un contesto politico interamente controllato da uomini e lo ha fatto evidenziando una capacità non comune. Deter­minante la sua predisposizione alla battaglia. Lei è stata anche consapevole di rappresentare un esempio, un riferimento pure per altri ambiti la­vorativi, in uno dei luoghi dove la discriminazione era particolarmente accentuata».

Vista dall’Italia sembra una realtà lontanissima.
«Ci sono ragioni storiche e geo­politiche, ovvio. Ma per i cittadini inglesi il rispetto delle istituzioni è un fondamento di libertà, mai distinto dalla legge, qualcosa che noi invece spesso dimentichiamo. Pensiamo che sia un privilegio concesso dai potenti, la esibiamo con anarchico egoismo. Ogni riferimento ai “no vax” è puramente voluto… La libertà di ognuno è tale finché non tracima in quella degli altri. Dovremmo tenerlo a mente, invece tendiamo a dimenticare».

Perché Elisabetta dovrebbe essere un esempio anche per noi?

«Ha dato una lezione di fedeltà verso sé stessa, alla propria missione. In fondo, alla sua età avrebbe forse avuto tutto il diritto di mettersi in un an­golo. Ha invece mo­strato dedizione e re­sponsabilità, mol­to più di certi alti dirigenti del nostro sciagurato Paese. A noi manca il senso di me­moria collettiva che hanno gli inglesi, siamo incapaci di ri­partire tenendo conto degli errori».

Conosce il Piemonte e le Langhe, li definirebbe “british”?
«Conosco bene, ho trascorso lì alcune giornate davvero piacevoli, anzi goderecce, in campo soprattutto enogastronomico tra Alba e le Langhe. Ho ricordi bellissimi. Sap­piamo bene che il Piemonte può essere considerata la regione più inglese d’Italia non solo per le colline e certe atmosfere, ma anche per lo stile di vita, la riservatezza delle persone, la discreta cortesia e il rispetto. Lode ai piemontesi per questi autentici tratti di civiltà».

BaNNER
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