«Le tempeste insegnano ad amare la vita»

Lo psichiatra e scrittore Paolo Crepet invita ad affrontare il Covid con il coraggio dei marinai

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«Lo sapete che siete particolarmente fortunati? Do­ma­ni, ve­ner­dì 17 , compirò 70 anni. Tondi tondi. E voi di IDEA siete gli ultimi a intervistarmi prima di questo accadimento. Un passaggio non da poco…». Non è mai banale Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e saggista di grande fama, nemmeno quan­do lo incontri in un momento di relax, a margine della sua lectio magistralis programmata ad Alba nell’ambito degli eventi di At­traverso. È proprio il festival itinerante diretto da Paola Farinetti e Simona Ressico a suggerirci la pri­ma domanda.

Crepet, cosa evoca in lei la parola “attraverso”?
«Penso a “verso”, un termine a dire il vero non molto usato. E dire che il “ver­so” è decisamente presente nella no­stra quotidianità. C’è un verso nelle stoffe, nelle pitture e, ovviamente, nelle poesie. Il verso è pure una direzione e “attraverso” io lo in­terpreto come un augurio: “ti auguro un buon verso”. È un termine bellissimo, dalle mille sfaccettature».

Di parole positive c’è sempre bisogno, specie in questo periodo pandemico, in cui, come ha scritto nel suo ultimo libro, dobbiamo fare i con­ti con una tempesta…
«Gli uomini di mare sanno che, a volte, la tempesta si presenta con dei colori molto aggressivi e paurosi e poi, nel momento in cui arriva, si dimostra meno spaventosa del previsto, così come, altre volte, ci si illude che la tempesta sia passata e, invece, ec­co che si presenta un inaspettato refolo di ven­to, una nuova “par­te” della tempesta che non era preventivata. Ed è la si­tuazione che stiamo vivendo ora. Nel senso che, con i vaccini, abbiamo imboccato la strada che potrebbe portare a regolare la tempesta ma allo stesso tempo sono emerse, come correnti inaspettate, conseguenze che avremmo preferito evitare. Non dobbiamo stupirci, però: tutto ciò fa parte dell’andare in mare aperto. La tempesta non è un male in senso assoluto…».

C’è dunque un risvolto positivo nella pandemia?

«Di fronte ai tantissimi lutti e al dolore che la tempesta del virus ha portato, io mi tolgo il cappello e rimango in silenzio. Allo stesso tem­po, però, so­no con­vinto del fat­­to che quanto è accaduto non sia solo “danno”. La tempesta può aver portato anche qualcosa capace di ispi­rarci. Per certo ha fatto emergere spunti di riflessione. La per­dita del gusto, uno dei sintomi più diffusi del Covid, mi fa pensare, ad esempio, a uno degli stati che caratterizzano la nostra società, ovvero la perdita del gu­­sto di vi­vere».

Lei come ha affrontato la tempesta?

«Vivo in un piccolo borgo e la mia battaglia alla pandemia si è quindi svolta in un luogo privilegiato, dove ci sono bellezza e silenzio. Tutto ciò, per certi versi, mi ha aiutato…».

Chi ha sofferto di più?

«Di sicuro le persone anziane, che hanno pagato la pandemia con la morte o, co­munque, con la paura concreta di perdere la vita. Pen­so, in particolare, agli ospiti delle Rsa. E noi non abbiamo fatto abbastanza per aiutare queste persone e nemmeno lo stiamo facendo ora… Poi ci sono i bambini, i ragazzi e i giovani-adulti: a tutti loro abbiamo negato la vita, l’incontro, gli amici, l’amore, la scoperta. Una cosa terribile. Come se stessimo vivendo nell­’Ottocento, abbiamo soltanto pensato a proteggere il lavoro, convinti del fatto che solo difendendo il lavoro saremmo stati in grado di salvaguardare la società».

Non è così?

«Certo che il lavoro va difeso: è ovvio. Ma vanno protetti anche il “prima”, il “dopo” e il “futuro” del lavoro».

Cosa c’è nel suo di futuro?
«Porto i miei (quasi) 70 anni in allegria, perché mi sono rotto le scatole dei lamenti. Su questo sono molto in sintonia con Oscar Farinetti…».

Come si alimenta questo ottimismo?

«Essendo consapevoli che da­vanti a noi c’è un periglio, ov­vero un grave pericolo che può essere affrontato solo met­tendo in campo una buo­na dose di coraggio. Non dobbiamo mai scordare che, an­che nelle tempeste, possiamo riuscire a tenere saldo in mano il timone. Un po’ come fa Soldini che non evita le tempeste ma le affronta».

Non crede di poter dare anche lei un contributo?
«Mi piacerebbe raccontare ai ragazzi che cos’è la bellezza della vita. Vorrei provare a spiegare loro come vivere. Qualche spunto ce l’ho…».

Ce ne regali uno, allora…
«Provare la scomodità. È una grande regola della vita. Fa­cendo o scrivendo una cosa scomoda non si ottengono consensi ma si lascia un segno indelebile. Anche co­noscere l’ignoto è una scomodità; una scomodità che, come le altre, nasconde op­portunità. Torniamo dunque a navigare come facevano gli antichi marinai».