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L’amore senza età

Infelice quello con Carlo, eterno e profondo quello della gente. A 24 anni di distanza dalla tragica scomparsa, cerchiamo di capire perché Lady D rimane nel cuore non soltanto degli inglesi e rivive in film, serie tv e volumi sempre nuovi

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Ventiquattro anni senza Lady D. Ventiquattro anni rubati a una favola e regalati alla leggenda. Forse, senza quella morte precoce e tragica, senza quell’ultimo respiro dentro un’auto accartocciata, nel buio di una galleria parigina, racconteremmo una donna amata dal popolo e una nonna dolce, destinata al ricordo collettivo ma non al mito. Invece, di Diana non si tramanda solo la memoria, rinfocolata da ricorrenze e celebrazioni, ma si ravviva quotidianamente un legame profondo con la gente, nutrito da spontanee manifestazioni d’affetto e da infinite produzioni dedicate alla sua figura: alla Mostra del Cinema di Venezia ha appena partecipato “Spencer”, film interpretato da una straordinaria Kristen Stewart, ennesima attrice chiamata a impersonare la “principessa triste”: tra le altre, Bonnie Soper, Naomi Watts, Emma Corrin e Elizabeth Debicki e Madonna in pellicole, serie tv e musical, opere volte a tratteggiare un’icona al pari di libri e documentari.
Ma perché Lady è eterna? Perché è tuttora circondata da un amore popolare tenero, straripante, commosso? Essenzialmente, perché al popolo appartiene. La sua non è la fiaba di una principessa classica, cresciuta sfarzosamente in un castello, fascinosa ma da noi distantissima, ammirata da sudditi fedeli con un pizzico d’invidia: piuttosto è una fiaba impastata di sogni e sorprese, la fiaba di una ragazza come tante entrata a Palazzo. Perché Diana aveva radici nobili e modi raffinati, ma, prima di conoscere Carlo, aveva condiviso casa con tre amiche e lavorato in un asilo. Come tante giovani, solo che lei ha incontrato il principe. E qui spunta la seconda chiave di lettura, la seconda spiegazione a un ricordo vivido e senza tempo. Perché l’amore con Carlo forse non è mai davvero sbocciato, perché lui non aveva mai smesso di amare un’altra donna, quella che ha accanto oggi, e la solitudine, la sofferenza, la tristezza velata su un’esistenza apparentemente perfetta ha smosso affetto e simpatia verso Diana. Gli occhi tradivano una malinconia inimmaginabile all’apparenza, mettevano a nudo tormenti intimi e lacrime ingoiate, Diana appariva felice e luminosa solo quando aveva accanto i suoi bambini, per il resto era prigioniera, a tratti piegata e a tratti ribelle, del protocollo, dell’etichetta, della tradizione e della storia. Ha varcato tante frontiere, ha violato regole antiche, ma lo ha fatto senza sfacciataggini o atteggiamenti di sfida, con la semplicità d’una ragazza qualsiasi e la fermezza d’una donna orgogliosa di se stessa: dal look ai rapporti, tutto la staccava dai Reali e la avvicinava alla gente, e avvicinava, tramite lei, al popolo i Reali che pure non ne condividevano tutti i comportamenti. Restano le immagini d’uno strascico lunghissimo nel giorno di un matrimonio indimenticabile, ma anche quelle d’un jeans indossato in mezzo ai bambini poveri del mondo: abbracci e carezze non c’erano nel protocollo, ma c’erano nel cuore e la gente non ha dimenticato. Forse, con la morte ingiusta, la gente ha anche santificato, edulcorato l’immagine consegnata al mito ch’era sì dolce e fiera, ma a volte anche spigolosa. Dentro, però, nel groviglio di contraddizioni, dietro istitutrici e maggiordomi, carrozze e marmi, affiorano i disturbi alimentari, i malesseri intimi, i dolori. E la forza di combattere ogni giorno, senza mai smettere di tendere una mano a chi sta peggio.

BaNNER
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