Più che un pacifista

Addio a Gino Strada, chirurgo degli ultimi: «Ha insegnato che la parola impossibile non esiste, era contro la guerra perché qualsiasi conflitto non è mai una soluzione ma è il problema»

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«I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi». Così Gino Strada denunciava le disuguaglianze, invitava a riflettere sull’ingiustizia, però non ricamava solo aforismi, cercava di riparare aiutando davvero gli ultimi. Tra macerie e trincee, tra città ferite e corpi dilaniati, bende arrossate di sangue e odore di medicine, tuoni di cannone, fiamme, occhi spaventati. «Le vittime sono sempre i civili che non hanno colpe. Ecco perché la guerra è sbagliata in sé», osservava. E aggiungeva amaro: «Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia».
Aveva deciso di dedicarsi alle vittime d’ogni conflitto da giovane chirurgo volontario, attorno pian piano altre donne e uomini generosi. Infine Emergency, fondata nel ’94: una rete di amore e solidarietà tesa negli angoli più sofferenti del mondo, milioni di militari e civili soccorsi e curati, sostenuti nel dolore fisico e morale: «Quel che facciamo per loro, noi e altri, quel che possiamo fare con le nostre forze, è forse meno di una gocciolina nell’oceano. Ma resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, perché se non ci fosse sarebbe peggio per tutti. Tutto qui. È un lavoro faticoso, quello del chirurgo di guerra. Ma è anche, per me, un grande onore».
Frasi ch’erano esempio e diventano testamento spirituale: Gino se n’è andato in un giorno caldo d’agosto, lasciando un po’ più soli i popoli in guerra, ma anche poveri ed emarginati. Perché non s’attivava solo dove si sparava, ma ovunque serpeggiassero sofferenza e stenti. Sei milioni di pazienti curati dalla sua struttura, sedici paesi accarezzati da una mano benevola, una vita spesa per gli altri eppure capace anch’essa di dividere, come se non potesse esistere la filantropia pura e semplice. La prova è che Gino ha scelto giovane il sacrificio personale e il bene altrui, al fronte con la Croce Rossa: l’Afghanistan e il Perù, la Somalia e la Bosnia. Mai solo, ma spesso isolato con i suoi amici, e spesso scomodo, duro con una politica abituata a essere compiaciuta. L’accusavano d’essere utopico, ma lui stesso ha specificato: «non sono pacifista, sono contro la guerra».
«Ci ha insegnato che un conflitto non è mai la soluzione, è sempre il problema» spiega la moglie Simonetta. «Non gli piaceva la parola impossibile». Poche linee per un ritratto bellissimo, non l’unico che abbiamo appuntato: ci hanno colpito, tra gli altri, Gad Lerner («L’utopia non è ingenuità ma fede creatrice»), il ministro Roberto Speranza («Difendeva sempre e ovunque l’uomo e la sua dignità») e Fabio Fazio: «Nel suo cuore c’era tutto il bene del mondo». A volte è giusto attingere agli altri, perché non è semplice trovarne di proprie: è successo anche a Vauro, ch’era suo amico prima che collaboratore di Emergency: «Ci capitava, in Af­ghanistan come in Iraq, come in tanti luoghi di guerra, di restare senza parole davanti all’orrore e alla sofferenza. A volte insieme le cercavamo per denunciare il crimine che è la guerra. Dovevamo trovarle e le trovavamo. Io invece oggi non ne trovo per dire il dolore che la scomparsa di Gino mi provoca dentro».