«Immortalo conchiglie e le loro imperfezioni»

L’artista saluzzese Luca Giuliano si cimenta con diverse tecniche, mettendosi sempre in discussione e facendosi guidare dalla curiosità

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Luca Giuliano è un artista che non sa e non vuole etichettarsi, soddisfatto del suo stile, ma in continua evoluzione. Un mondo artistico affascinante che IDEA ha provato a sondare con il diretto interessato.

Luca, quando è nata la sua passione per l’arte in ogni sua for­ma?
«Sin da bambino sentivo questa esigenza di comunicare con il mondo. Mi sono dedicato dapprima alla musica e poi al judo. Ho sempre sperimentato forme d’arte diverse che mi hanno portato e mi por­tano alla ricerca del nuo­vo, ma ancor più di me stesso».

Crede che qualcuno abbia alimentato la scintilla che porta dentro di sé?
«Ne sono certo. La vocazione per l’arte nasce da mio padre. Anche lui è un artista e fin da piccolo mi sono appassionato al mondo dell’arte guardandolo disegnare, dipingere e sfogliare cataloghi di altri artisti. Ricordo che da piccolo quello che più mi aveva colpito era un volume di illustrazioni e dipinti ad olio di Frank Frazetta, un artista statunitense. Raffigurava personaggi mitologici in un modo che mi incuriosiva e così ho iniziato a riprodurli, nel tentativo di replicare quelle immagini con dei pastelli colorati. Ecco, credo sia stato quel libro la scintilla di tutto».

Dopo aver sperimentato va­rie tecniche artistiche, a og­­gi quale la attira di più?
«La tecnica che più ho praticato fino a ora è l’incisione calcografica, in particolare l’acquaforte. È una tecnica antica che consente di lavorare il rame e andare ad utilizzarlo come matrice di stampa per un certo numero di copie su carta. Nell’ultimo periodo in-vece mi sto dedicando di più alla pittura ad olio e all’acquarello. Non ho una tecnica che mi attira di più, anzi sento il bisogno di spaziare su diverse tecniche per non perdermi su una sola. Di solito, però alla base dei miei lavori c’è prima un disegno dal vero, che mi permette di osservare e studiare meglio il soggetto».

Che tipo di artista è?
«Non riesco a definirmi o a inserirmi in una certa categoria. Credo che al giorno d’oggi la tendenza sia quella di volersi etichettare a tutti i costi a causa di un contesto storico che ci sta portando verso un appiattimento totale. In particolare questa situazione viene a crearsi sotto un punto di vista sociale, non solo artistico. Io sento la ne­cessità di distinguermi fa­cendo la mia strada, cercando di rimanere il più possibile cu­rioso e mettendomi sempre in discussione».

Quale sensazione la pervade mentre è all’opera?
«Quando sono al lavoro nel mio studio mi estraneo completamente e perdo la cognizione del tempo e dello spazio. Mi immergo totalmente nelle mie opere. A volte mi di-mentico addirittura di dover mangiare pranzo».

Quali sono i materiali che utilizza di più?

«I materiali principali che utilizzo sono il rame e lo zinco nel caso dell’incisione calcografica e le tele per i dipinti a o­lio. Ma il supporto che non deve mai mancare è la carta, sia per la stampa che per il di-segno».

Ha già avuto modo di esporre le sue opere?
“In passato ho avuto modo di esporre alcuni miei lavori in mostre collettive in provincia di Cuneo e alle Ogr di Torino. Proprio adesso, invece, ho un’esposizione in corso presso Palazzo Samone di Cuneo insieme ad alcuni amici e compagni dell’Acca­demia Al-bertina. È stata una bella occasione per esporre e per ri-trovarsi, grazie al professor Da­niele Gay che non smetterò mai di ringraziare per avermi chiesto di partecipare, ma anche per la fiducia e il supporto che mi ha dato».

I suoi lavori spesso raffigurano conchiglie ed esoscheletri, da cosa deriva questa scelta?

«La passione per le conchiglie nasce dalla mia tesi di laurea. Un giorno, nel tentativo di trovare un argomento da trattare, ho riscoperto in un ar­madio una serie di gusci marini collezionati nel tempo da mio padre. Os­ser­vandole mi sono reso conto che, come noi, ogni conchiglia possiede un suo carattere, una personalità o per meglio dire una propria identità. Credo che le forme, i vuoti, i pieni, i colori e le imperfezioni di questi esoscheletri vogliano raccontarci, o forse insegnarci, qualcosa di più».