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L’opinione di Giuseppe Remuzzi

«Dobbiamo impedire che l’infiammazione diventi difficile da controllare, intervenendo subito con antinfiammatori»

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IL FATTO
curare direttamente a casa i pazienti covid può ridurre notevolmente il numero dei ricoveri in ospedale ed evitare peggioramenti della malattia

Si può affermare, senza tema di smentita, che la narrazione medica del Covid è stata nel complesso fallimentare. Basti pensare ai virologi della prima ora che sostenevano l’inutilità delle mascherine mentre oggi si è arrivati a imporne l’uso ovunque, anche all’aperto.
Per non citare le mille contraddizioni che da un lato hanno alimentato falsi miti e dall’altro hanno creato disorientamento e una crescente paura del virus. Fatto sta che ancora oggi non si sa o non si capisce quale sia l’approccio giusto con la malattia: se all’inizio si diceva che alle terapie intensive mancassero i famigerati ventilatori, in seguito si è intuito come quegli stessi dispositivi potrebbero avere avuto un tragico ruolo nell’aumento dei morti durante la prima fase della pandemia. Insomma, la confusione è stata e resta tanta.
Difficile a questo punto valutare qualsiasi intervento in materia.
Anche quelli che sembrano poter portare un po’ di chiarezza. L’ultimo esempio riguarda l’opportunità di curare precocemente a domicilio il paziente affetto dalla patologia del secolo. Il professor Giuseppe Re­muzzi, direttore dell’I­stituto di Ricerca Mario Negri a Milano, ha illustrato il protocollo che dovrebbe consentire ai medici di famiglia di intervenire efficacemente con gli antinfiammatori ai primi sintomi del virus. In questo modo si eviterebbero peggioramenti della malattia e soprattutto si ridurrebbe il numero delle ospedalizzazioni.
«Parliamo di una malattia», ha detto il virologo, «che ha le stesse caratteristiche di tutte le patologie delle alte vie respiratorie. Ma in una fase iniziale potrebbe anche essere un’influenza. Dobbiamo allora impedire che l’infiammazione diventi una cosa difficile da controllare, intervenendo con antinfiammatori, prontamente».
Si tratta comunque di considerazioni dettate dai primi risultati della ricerca. «È un’idea su cui stiamo lavorando e non possiamo considerarla ancora sicura, finché non avremo dati certi». Ma la strada sembra tracciata.
«Quando gli esami indicano che esiste il rischio di una sindrome iper-infiammatoria nonostante i primi giorni di cura, allora si deve agire con il cortisone».
«La tachipirina?», ha ag­giunto Remuzzi, «Secondo uno studio francese sottrae glutatione al nostro organismo e quindi riduce le possibilità di combattere il virus, ma si tratta di una valutazione teorica, per il momento».
Essenziale in ogni caso curare direttamente a ca­sa, l’ospedale deve es­se­re l’ultima soluzione.

BaNNER
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