«Il web è un’arena ma ai quotidiani manca la realtà»

Battista: «giornalismo a braccetto col potere, deve cambiare» L’opinionista di HuffPost, ex CorSera: «Una delle migliori inchieste giornalistiche è “SanPa”, di Netflix. Ma tra gli autori nessuno ha il tesserino. Si sta sviluppando una nuova lotta di classe, rappresentata dalla contrapposizione tra chi ha il reddito garantito e chi resta in balia dell’emergenza. Gli ex brigatisti? Dobbiamo andare avanti»

0
264

Pierluigi Battista, par­tiamo dagli arresti in Francia degli ex brigatisti. Che ne pensa?
«Mi viene in mente quello che è accaduto in Spagna dopo la caduta del Fran­chi­smo, quando si fece il “patto dell’oblio” nell’intento di far convivere le diverse posizioni dentro a un comune quadro democratico. Per non protrarre all’infinito una guerra civile, in una dialettica democratica. Ora in Italia si riapre, dopo tanti anni, il tema dei forti radicalismi. Ma una società civile in qualche modo deve andare avanti».

Serve un “patto dell’oblio” anche in Italia?

«Non si tratta di riconoscere l’impunità, ma sono avvenimenti di cinquant’anni fa. Ed è sbagliato continuare a giudicare come abbiamo fatto fin qui, riconoscendo solo il bianco e il nero. Se si deve dare una punizione a un uomo di 80 anni, forse ci sono altre misure rispetto al carcere. Ma noto che c’è un fervore da tifoserie, come quello che animava gli anni ’70. In questo clima una boccata di ossigeno l’ho trovata nella bellissima intervista di Mario Calabresi a sua mam­ma, sull’uccisione del commissario Calabresi. Una le­zione di civiltà».

Forse è l’occasione per chiudere un tragico capitolo della nostra storia?
«La stagione del terrorismo è stata davvero brutta. Ora, non dico che si debba intonare “scurdammoce ’o passato”, ma prendere atto che i tempi sono cambiati. Il mio non è pietismo, intendiamoci. Ma l’idea che il carcere, per l’ordinamento italiano, abbia una finalità rieducativa si scontra in questo caso con la realtà».

Altra questione legata all’attualità: l’uccisione di due la­dri da parte del gioielliere di Grinzane Cavour. La sua opinione?
«Bisogna distinguere. Un con­to è reagire a un attacco al­l’in­terno del proprio spazio, un altro inseguire e sparare fuori da casa o da un negozio. La legittima difesa non è che la conseguenza di una scarsa sicurezza. Nelle strade non c’è controllo».

Sono argomenti che sui social dividono, come si diceva prima, tra chi vede bianco e chi nero.

«Io ho lasciato un grande quotidiano (Corriere della Sera) per l’Huffington Post, ovvero per il web. Dove c’è di tutto: informazioni, opinioni, idee… È un con­testo divertente oppure avvilente, ma la soluzione c’è: basta “bannare”.
Per quello che ho scritto a proposito di Pietrostefani, ho avu­to molti attacchi. E ho bloccato. Il web, del resto, è un’arena pubblica».

In ogni caso, è qui che si è spostata l’informazione. E i giornali?
«Hanno perso terreno, per colpa loro. Pensavano, ovvero pensavamo di essere gli unici autorizzati a informare, vantando il nostro tesserino, ma il monopolio è stato rotto. Ora servono bravura, qualità, brillantezza. Creare un prodotto che sia leggibile, scritto bene. Per troppo tempo ab­biamo dormito sugli allori, ora si deve solo migliorare. Il problema è che non basta spostare un giornalista dalla carta all’online, specialmente se interpreta quello spostamento come una “diminutio” del suo ruolo: oggi è ancora così».

Come sono i giornali? Il popolo del web non li ama.

«Le prime dieci pagine sono dedicate alla politica, quando ne basterebbero due. Così si offre un prodotto vecchio senza tenere conto del cambio generazionale. Ma ormai è un mon­do che gravita attorno a pezzi del sistema, a una élite. Sto facendo del bieco populismo? No, la verità è che siamo troppo contigui al potere, andiamo a braccetto con chi ce l’ha. Penso ai giornali americani nel 2016, tutti a darsi di gomito convinti che Trump perdesse, senza capire il disagio dell’America più profonda. Quando questo accade, significa che i giornali non rappresentano le persone».

Su web molti giornali cadono nel tranello delle notizie acchiappa clic. Non ci sono altre strade?

«Uno dei migliori esempi recenti di giornalismo investigativo è “SanPa”, la meravigliosa serie prodotta da Netflix su San Patrignano. Peccato che nessuno degli autori sia un giornalista. È significativo, siamo chiusi in una fortezza. Invece bisogna uscire e reinventarsi».

Lei ha fatto così su Twitter e sui social?
«Sono partito dalla consapevolezza che si usa il web per informazioni e divertimento. So di dover conquistare i miei lettori, ma non vado a caccia di clic».

Come è stata raccontata la pandemia?
«Credo che tutto il sistema dell’informazione abbia dato una pessima prova, affidandosi a una banda di virologi dedita all’allarmismo, invece che approfondire le problematiche della pandemia. Il conto dei morti è stato contraddittorio, ora è spuntata la variante indiana e non apriamo neanche il capitolo “talk show”, per pietà. Il fatto è che fuori c’è un altro mondo, con altri problemi».

Ecco: che cosa succede in quell’altro mondo?

«Rinasce una lotta di classe caratterizzata semplicemente dal confronto tra coloro che hanno redditi certi e chi è in balia dell’emergenza. Da qui altre contrapposizioni come “chiusuristi” o come “aperturisti”, perché dipende sempre in quale categoria ti trovi. E questo i giornali non lo raccontano».

Cosa c’è nel prossimo futuro?
«Vedo che Israele e Gran Bretagna hanno recuperato punti di Pil, mentre da noi perdiamo il 10 per cento… Se ci saranno vaccinazioni e soldi, forse, avremo le basi per un rilancio. Ma sono scettico. Certo, se neanche stavolta riusciamo a riformare e rilanciare, allora sarà la fine. Ma dal Recovery Fund restano fuori questioni annose. Che ne è, per esempio, del dissesto idrogeologico?».

Siamo nelle Langhe: conosce questa zona?
«La famiglia di mia moglie è della zona di Alessandria, conosco il Monferrato. E poi ho lavorato per diversi anni, anche se da Roma, al quotidiano La Stampa. Quindi sì, co­nosco. Una terra meravigliosa. E poi lo sapete, io so­no juventino…».