Ci vuol fegato ad aver cuore

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Cara Luisa,
appare evidente a chiunque che nel momento esatto in cui una persona, nella fattispecie tuo marito, parla di tua e sua felicità o (se vogliamo volare più basso) di realizzazione come di due cose separate, da perseguire peraltro in due frangenti distinti con priorità ben precise, significa che il danno è fatto.
Capisco la tua afflizione: sei partita con altre aspettative che per giunta ritenevi fossero condivise. Come dice l’umorista statunitense Arthur Bloch: «Quando ti morde un lupo, pazienza. Quel che secca è quando ti morde una pecora».
Se tuo marito avesse manifestato subito una certa ritrosia nel pensare di mettere su famiglia, forse avresti potuto mettere in atto le tue contromosse ed eventualmente prendere un’altra strada. Invece… I casi sono due. La prima ipotesi è che tuo marito sia davvero pecora sino in fondo e, quindi, per paura di perderti abbia fatto finta di condividere un progetto che in realtà non sentiva essere la sua via per la realizzazione. La seconda è che semplicemente abbia colto l’occasione lavorativa che gli si è presentata, rendendosi conto in quel contesto che la precedente aspirazione di creare una famiglia era determinata più da mancanze di alterative che da una reale e convinta adesione al tuo desiderio.
L’unico suggerimento che mi sento di darti, da girare a tuo marito, lo prendo pa­ri pari da Benjamin Disraeli: «La prima cosa nella vita è sapere cogliere un’oc­ca­sione e la seconda è sapere quando bisogna lasciarla perdere».