“A-i’é le Ma­sche!” (Ci sono le “masche”!). È facile sentire questa espressione ancora oggi in Piemonte quando un fatto “strano” non è logicamente spiegabile come, ad esempio, la sparizione di qualche oggetto.
Ma chi sono le “masche”?
Sono figure frutto del folklore popolare, solitamente femminili (ma esistono anche quelle ma­schili, i “masconi”) dotate di poteri straordinari che operano contro coloro che in qualche modo suscitano la loro ira.
I poteri di queste donne, al contrario dei “masconi” che non potevano trasmetterli ad altri, venivano tramandati da madre a figlia o da nonna a nipote. Tra questi poteri c’era anche la capacità di trasformarsi in animali, soprattutto in gatti, e la bilocazione, ossia potevano essere presenti in due posti contemporaneamente.
Le loro storie venivano raccontate durante le “vijà”, le veglie che riunivano le famiglie e i vicini nel caldo delle stalle, e, come ancora oggi accade nel passaparola, di volta in volta venivano ampliate e arricchite con nuovi particolari sempre più paurosi, a beneficio dei bambini che ascoltavano, impauriti, abbracciati tra di loro. Sovente queste storie avevano come protagonisti i preti, che erano ritenuti “masconi” per via del loro sapere o perché particolarmente severi o ostili.
Vediamo ora quali sono i loro poteri e le loro particolarità. Intantio le “masche” operano quasi sempre di notte o all’imbrunire; si riuniscono e si incontrano in posti isolati, lontano dai centri abitati; vivono quasi sempre in solitudine, sono scontrose e non socializzano. La leggenda vuole che possono mutarsi in animali, spostarsi in volo e hanno il potere dell’ubiquità; temono il sacro, ma non hanno rapporti diretti col demonio; provocano malattie e, a volte, la morte dei neonati; conoscono le proprietà delle erbe e delle piante, che usano per creare pozioni venefiche e mortali ma le usano, raramente, anche a fin di bene. Infine, possono scatenare temporali, grandinate e nebbia e trasmettere i loro poteri.
La “masca” può essere smascherata perché, se mentre è sotto le sembianze di un animale viene ferita, le ferite si vedranno, il giorno dopo, sul corpo della megera. Viene anche smascherata perché non si lascia pettinare e perché, pur bevendo molto vino, non si ubriaca. Un altro segno di riconoscimento è un grosso neo sulla spalla sinistra. Se poi un uomo si accoppia con una “masca”, è destinato a morire entro 77 settimane.
È però possibile difendersi da questi esseri portando al collo un sacchetto contenente un osso a forma di croce e dei peli di gatto. L’efficacia è minore con le unghie di gallo, gli aghi di pino e le piume di civetta. Si possono mettere sulla porta di casa dei ramoscelli a forma di croce oppure una scopa di saggina vicino al camino o ancora tenere qualcosa di benedetto a contatto col corpo. Non bisogna mai lasciare stesi i panni dei neonati dopo il tramonto e occore non farsi mai toccare per evitare che la “masca” trasferisca i suoi poteri su di noi.
E oggi, ci sono ancora le “ma-sche”? In verità, ne parlano solo le persone molto anziane, nei racconti della loro giovinezza. In Piemonte continuano però a vivere in numerosi modi di dire, come quello citato all’inizio di questo articolo o in altri comunemente utilizzati come vede le “masche” (vedere le “ma­sche”), ossia soffrire, tribolare; “robà da le masche” (rubato dalle “masche”) e si dice di qualcosa che non si trova più; “furb com na masca” (furbo come una “masca”) ossia astuto, ma non degno di fiducia.
Leggenda? Folclore? Certa­mente, però facendosi raccontare qualche storia di “masche” dalle persone più anziane del paese coglierete che per loro quei fatti sono realmente accaduti! Altro che Halloween!

Articolo a cura di Elio Stona