Monteu Roero – La rinascita di S. Sebastiano: tra un restauro compiuto, e un altro in partenza

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C’è un San Sebastiano che rivive, tra le colline della Sinistra Tanaro: è a Monteu Roero, paese dai mille volti e che, per molti versi, rappresenta quella eterogeneità di un territorio capace di spaziare tra rocche e vigne, boschi e serre, storia e storie. E’ il luogo che dialoga tra uno dei cuori pulsanti dell’economia locale -Canale, già capitale del pesco: basta muoversi di pochi passi dal centro, per essere già in suolo monteacutese- e la piana del Torinese, per comprenderlo tra le suole delle scarpe e le mappe geografiche.

Ed è anche il posto in cui si rincorrono suggestioni come la Castagna Granda che sta lì da 400 anni, il castello dominante l’abitato e ora di proprietà della famiglia Berta: il paese di intuizioni come il bricco di San Giors che coniuga alla perfezione viticoltura e paesaggio secondo la lezione della famiglia Negro, ma anche il luogo in cui le porte si aprono automaticamente alle visite, come nel caso della confraternita di San Bernardino.

E, ora, pure il paese di un quadro che è insieme cultura, espressione di partecipazione attiva, simbolo di dispute, ricerche, testimone continuo di una storia che parte addirittura dal 1631. E’ stato restaurato, appena in tempo per il giorno in cui il martire trafitto dalle frecce si festeggia sul calendario: frutto di un lavoro certosino eseguito  dalla ditta Nelson Restauri di Torino grazie a un contributo della ditta Boetti srl – impianti elettrici di Monteu Roero e con fondi propri dell’associazione Bel Monteu: la quale, sotto la guida del suo leader Mario Novarino, ha donato il giusto valore e l’importanza ad un’opera dal decorso simile a quello di un romanzo.

Ci sono tutte le tonalità della letteratura, in effetti. A partire dal “giallo”: e sì che il quadro, deposto un tempo presso l’omonima cappella all’ingresso ovest del centro storico, era stato oggetto di una grossa opera investigativa sulla sua sorte. Sparito, per un certo tempo, dopo che Bel Monteu aveva deciso di prendersi cura della piccola chiesa, constatando l’assenza di ciò che dovevano essere i suoi decori pittorici. Venne fuori, allora, come il parroco don Gallesio lo avesse offerto al “collega” albese don Raffaele Donato: e che questi lo custodisse sopra il suo letto, presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza di Alba.

Contattato tramite la Curia, il sacerdote si mostrò pronto comunque a mettere la piuttura a piena disposizione della comunità, a restituirla: e a far partire quest’opera di restauro. Ma ci sono anche i toni del racconto epico, da impresa: perché il San Sebastiano tornerà lì, nella Cappella che sarà a sua volta recuperata: assieme ad un altro quadro risalente invece al 1800, già restaurato, e posto presso una famiglia del paese.

E il poliziesco assieme al noir: dal momento che l’opera seicentesca è ora custodita presso un caveau di una banca a spese dell’Associazione stessa. «Purtroppo, altri oggetti della cappella come candelabri, croci, marmi eccetera sono spariti nell’epoca in cui la cappella di San Sebastiano era utilizzata da magazzino e deposito», dice Novarino.

Non mancano, ovviamente, i tratti dell’epopea storica e delle tracce documentali cementate ad elementi para-leggendari che tanta fortuna stanno trovando nell’attuale mondo della fiction: per un quadro realizzato all’origine da Giovanni Battista Della Rovere, milanese, chiamato da Roma in Piemonte nel 1621 dal Cardinale Maurizio di Savoia e stabilitosi a Torino quale “pittore di Sua Altezza Serenissima”. Sue opere sono state eseguite nella capitale sabauda, a Carmagnola e in altre località piemontesi. Anche suo fratello Giovanni Mauro esercitò la pittura. Entrambi sono detti “i Fiamminghini” giacchè il loro padre nacque ad Anversa.

Così parla il presidente: accennando ad elementi di una “tela” in cui lo spirito gesuita e la simbologia della morte del martire sono presenti in maniera forte. Alla pari della lezione di Leonardo da Vinci: con l’uso forte della cosiddetta “colla di coniglio” inventata dal genio italico per antonomasia. «Il restauro -aggiunge Novarino- è stato realizzato eseguendo le opportune indicazioni e del funzionario della Soprintendenza dei Beni Artistici Dott.ssa Paola Nicita applicando le norme deontologiche idonee a ogni procedimento. La pulitura dell’opera ha ridato unità di lettura alla tela eliminando lo strato di sporco che ne ottenebrava i colori e ne offuscava la luminosità».

Il restauro è stato dunque un nuovo “dono” per chi vive il paese, e chi lo visita: occorre coglierne l’importanza, anche in nome delle tante dispute che si sono rincorse nei secoli attorno alla medesima chiesa di San Sebastiano. La quale fu confraternita, ospedale all’epoca della pestilenza che colse Monteu, le vicine Ceresole d’Alba e Baldissero d’Alba: fatti che sono figli del lavoro di ricerca compiuto in passato dal Bergadani, massimo storico monteacutese, cui il Comune dedicò a suo tempo anche la piazza ove poggia ora il finalmente compiuto bocciodromo.

San Sebastiano, risalente ancora prima dell’omonimo quadro, prima ancora della sua attuale conformazione che strizza l’occhio allo stile neogotico: se ne parla chiaramente negli atti del 1582, quando il nobile Marco Antonio Roero ne dispose ampi lasciti testamentari.

E se ne narra più volte per essere stata sede di una sorgiva, oltre che dogana, ma anche “pomo della discordia” tra municipio e parrocchia per i suoi costi di gestione e il proprio legame con l’attigua Casa della Congragazione locale di Carità. L’inizio di una lenta fine: per una chiesa il cui progettista la potrebbe rendere “cugina” di sacri edifici come la Parrocchiale di Canale (ideata da Bartolomeo Artusio), e quelle di Magliano Alfieri (Giuseppe Raimondo), Montaldo Roero (Carlo Alimondi), e la confraternita di S. Michele a Guarene (Antonio Isnardi).

Storia e storie, dicevamo: che emergono in questo restauro pittorico ora compiuto, e in quello strutturale che ne verrà. Per un Roero che, ancora una volta, ha molto da dire e da raccontare: onore e merito, intanto, all’associazione Bel Monteu per il fatto di crederci in pieno, sia con gli eventi realizzati in corso d’anno -e che torneranno, alla compiuta ripartenza dopo l’emergenza sanitaria- sia con queste concretissime azioni.

Paolo Destefanis