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«La mia Cuneo vissuta in ringhiera»

Nel suo ultimo libro Giovanni Cerutti racconta i primi 15 anni vissuti in una città diversa da quella di oggi

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Il racconto di un pezzo di autobiografia, inserito nella storia della città e della Chiesa di Cuneo. Da un punto di vi­sta analitico, sono questi i contorni dell’operazione com­piuta da Giovanni Cerutti con il suo ultimo volume, pubblicato da Primalpe, intitolato “Cuneo 1946-1961-Ricordi e appunti di cronaca”. Os­servato in controluce, però, il libro, attraverso una testimonianza personale e senza mai cadere nella retorica dell’“era meglio pri­ma”, è la fotografia di un’evoluzione graduale e continua che ha portato la città a trasformarsi. Con una costante, almeno per Cerutti: «Vivevo bene nella Cuneo del 1950 e mi trovo altrettanto bene in quella del 2020».

Insegnante in pensione di economia aziendale presso l’Isti­tuto Professionale Statale per il Commercio Sebastiano Gran­dis di Cuneo («dove sono entrato soldato semplice e uscito soldato semplice», commenta, ironico, il diretto interessato) Cerutti ha anche ricoperto incarichi nell’Ammi­nistrazio­ne comunale e fin da bambino ha avuto la musica come compagna di vita («L’anno scorso ho festeggiato le nozze di diamante con l’organo», chiosa a riguardo).

Cerutti, cosa l’ha indotta a condividere il racconto dei suoi primi 15 anni di vita?

«È da un po’ che ci stavo pensando perché, come capita alle “persone anziane”, a un certo punto si sente questo bi­sogno di lasciare una traccia della vita vissuta, soprattutto degli anni giovanili. La mia intenzione con questo libro è ri­cordare a quelli più o meno del­la mia generazione ciò che ab­biamo vissuto e far capire ai più giovani come fosse la vita dei lo­ro padri e nonni e quanto la società e la Chiesa siano cambiate in po­co più di mezzo secolo».

Ci fa qualche esempio per capire questi cambiamenti?

«Quando facevo la scuola me­dia il mio Internet, la mia Wi­kipedia era l’enciclopedia cartacea “Motta”. Quando ripenso all’alloggio in cui ho vissuto in quei 15 anni mi rendo conto che oggi sembrerebbe una casa da poveri, mentre allora era una residenza normale. Abitavo in piazza Galimberti 10 in una casa di ringhiera e quindi per raggiungere l’ingresso passavamo davanti all’alloggio di un’altra famiglia. Il bagno era un semplice stanzino all’esterno dell’abitazione, non riscaldato. Di notte si usavano i vasi, i “tüpin”; ci si lavava una volta alla settimana in una tinozza e il riscaldamento era fornito dal “putagè”. Non c’era raccolta differenziata dei rifiuti. A ogni pianerottolo si apriva una canna di caduta dove si buttava l’immondizia in modo indifferenziato. Abba­stan­za di frequente il tubo si intasava e occorreva che qualche uomo o donna provvedesse a togliere l’intoppo con il manico di una scopa, per farlo funzionare».

Per quanto concerne la Chiesa?
«Per capire la diversità da oggi, basta ricordare che sino al 1965 la liturgia, quindi sia la Messa che la benedizione eucaristica, era in lingua latina, anche se la stragrande maggioranza delle persone non lo capiva».

A livello di comunità quali sono le differenze maggiori?
«Allora la società era molto coesa. Io mi sentivo fortemente parte di una città che era per me rappresentata soprattutto dalle scuole e dalla Chiesa, nella duplice componente di Par­roc­chia e associazione di A­zione Catto­li­ca. Le amicizie erano molto for­ti. Ho conservato un legame con tanti compagni degli anni delle scuole e dell’Azione Cattolica. Quando capita d’incontrarsi facciamo un poì di “amarcord”».

Coesione sociale forse, ma non tra i sessi. Nel libro cita un articolo di giornale di fine anni ’40 in cui si dice: “Fuori le donne dagli uffici pubblici”. Letto oggi fa abbastanza specie…
«Nel 1946, quando sono nato e mia madre ha lasciato il suo lavoro da impiegata, la disoccupazione tra gli uomini giovani era molto forte. C’era stata la smobilitazione dell’Esercito e delle forze partigiane. Anche so­lo a Cuneo molte centinaia di giovani che prima non lavoravano si trovavano sul mercato del lavoro e assorbirli era difficile. La mentalità dell’epoca suggeriva che quando il marito la­vorava era meglio se la mo­glie rinunciava al lavoro per consentire a un uomo disoccupato di avere un impiego…».

Nel suo libro si parla anche di politica…

«L’aspetto che più colpisce, ad anni di distanza, è la fortissima presenza di partiti politici a livello cittadino. Non c’erano le liste civiche, ma solo i partiti nati dalla Resistenza. E poi c’era il collateralismo: la Chiesa e le associazioni cattoliche in occasione delle elezioni cercavano di convogliare i voti de­gli elettori cattolici sulla De­mocrazia Cri­stia­na. A Cuneo, dal 1950, per 20 anni, la Democrazia Cri­stiana ha avuto la maggioranza assoluta, quindi la Giunta era esclusivamente scudocrociata»,

A Cuneo lei vive ancora oggi…

«Sono cuneese, sento molto l’appartenenza alla mia città e negli anni mi sono occupato di Cu­neo sia scrivendone che a titolo di volontariato, organizzando visite accompagnate a vari monumenti della città: da via Ro­ma con i suoi palazzi e la loro storia al municipio, dalla chiesa di Santa Croce, un capolavoro dell’architettura barocca, alla sinagoga, ricchissima di storia, perché gli ebrei sono presenti a Cuneo in modo documentato dal 1406. Continua a essere molto richiesta la visita al cimitero urbano».

Per quale ragione?
«È il museo degli ultimi 200 anni della città. Ha una valenza non solo storica, ma anche artistica, con opere di importantissimi scultori».

BaNNER
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