«Io, professionista grazie al joystick»

Il beinettese Pietro Lorusso è stato ingaggiato dal Sassuolo per il campionato di calcio virtuale

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Quando poco più di 26 anni fa, il 3 di­cembre 1994, la So­­­­ny lanciò la Play­Station, in pochi si sarebbero immaginati che quel dispositivo sarebbe diventato in poco tempo non solo uno dei passatempi per eccellenza di bambini e adolescenti, ma an­che un vero e proprio fenomeno sociale ed economico, capace di influenzare abitudini e scelte di tantissimi (giovani e non), contribuendo a generare un indotto quasi senza precedenti nel mondo dell’intrattenimento. E non si immaginava nem­meno che si sarebbe potuta diffondere un’autentica professione legata al mondo dei videogiochi: quella del­l’“e-ga­mer”, ovvero il “giocatore elettronico”. Ne abbiamo parlato con Pietro Lorusso, ventunenne bei­nettese, tra i migliori giocatori italiani di Fifa, noto videogioco di calcio lanciato dall’azienda Ea Sports a metà degli anni Novanta.

Lorusso, partiamo dalle basi. Chi è l’“e-gamer”?
«Un “e-gamer” è semplicemente una persona che fa dei videogiochi il proprio mestiere. In altre parole, è colui che non gioca solo per divertimento, ma anche per portare avanti una carriera, nella quale partecipa a tornei con premi in denaro ed è genericamente stipendiato da aziende o società, che “finanziano” la sua attività».

Lei quando lo è diventato?
«Lo sono dallo scorso marzo, quando il Sassuolo mi scelse come suo giocatore per la prima E-Serie A, che prenderà il via, dopo diversi turni di qualificazione, la prossima primavera. Nel frattempo, sto disputando alcuni tornei e prendendo parte alle diverse sfide che di settimana in settimana vengono proposte dal videogioco, per migliorare il mio piazzamento e per mantenermi tra i migliori in Europa. Il tutto utilizzando la mia squadra, creata proprio grazie al sostegno economico del Sassuolo, che mi ha consentito di ottenere dei “crediti virtuali” utilizzabili per la costruzione di una rosa di alto livello. Gli appassionati possono seguirmi ricercando il “nickname” TeamPeda».

Come si diventa “giocatore elettronico”?
«Non esiste un percorso preciso. L’unica cosa certa è che occorre scalare le classifiche nazionali e internazionali del videogioco che si utilizza. Nel mio caso, io ho iniziato ottenendo lo scorso anno la “verifica” di “pro-player”, che Fifa assegna ai migliori giocatori al mondo (in Europa sono circa 500 su un totale di 10 milioni di utenti online, ndr). Da lì ho preso parte ad alcuni tornei che mi han­no consentito di mettermi in mostra e poi di essere contattato dal Sassuolo, con cui ho stipulato un contratto annuale, grazie alla mediazione della mia agenzia di procura, la Esa».

Quali sono gli appuntamenti prin­cipali dell’anno?
«Sono molto simili a quelli del calcio giocato. Si va dalla E-Serie A, appunto, al Mondiale, passando per le coppe europee e altri tornei intermedi. In­somma, siamo dei giocatori professionisti che compiono un percorso simile a quello dei calciatori e anche la nostra carriera ha una durata analoga, es­send­o legata ai riflessi. So­li­ta­men­te, si abbandona il gioco verso i quarant’anni, diventando poi allenatori di altri utenti».

Il videogioco le ha creato… dipendenza?

«Assolutamente no. È una leggenda da sfatare. Il mio caso, in questo senso, è eloquente. Io, infatti, ho anche un lavoro “vero” (ride, nda): sono impiegato in un’a­zienda che ha sede nella frazione cuneese di Madonna dell’Olmo. Alla “Play” dedico gli orari serali, giocando non più di dieci partite online, per un totale di circa due ore al giorno. Credo che più che la quantità sia importante la qualità: mi impegno in quel lasso di tempo e poi “stacco”, senza che si crei alcuna dipendenza».

I videogiochi, però, vengono spesso giudicati negativamente.
«Quando giocavo solo per divertimento, mi è anche capitato di distruggere la manopola e il disco del gioco dopo una partita persa. Lì ho capito che stavo esagerando e per sei mesi non ho più acceso la “console” di gioco. Una volta ripreso, mi sono accorto che ero più sereno e nel giro di poco tempo sono diventato un “e-gamer” a tutti gli effetti. Insomma, anche l’aspetto psicologico è controllabile e, non a caso, all’interno della nostra agenzia esistono dei “mental coach” che ci seguono durante gli incontri».

Perché i giochi virtuali hanno preso così tanto piede?

«Sono la passione di molte persone, non solo dei giovani, che preferiscono giocare invece di guardare la televisione generalista. Negli ultimi anni, poi, l’esplosione di Twitch, il “social network” che consente di trasmettere le proprie partite e di veder giocare gli altri, ha fatto il resto. Oggi, ogni giorno si collegano a Twitch per assistere alle partite virtuali di Fifa circa 200 mila utenti. E non stiamo nemmeno parlando del titolo più diffuso…».

I videogiochi meritano le Olimpiadi?
«Sono cresciuto giocando a calcio e ho fatto il portiere in Prima categoria con alcune squadre cuneesi. Avendo vissuto il pallone anche da atleta, posso dire che ci sono molti elementi in comune tra il calcio e la nostra disciplina, a partire dal fatto che sono talento e allenamento a fare la differenza. Ecco perché, per me, la risposta è assolutamente sì».

Visto come domina le squadre avversarie, avrà un futuro da allenatore…
«Diciamo che il fatto di avere in squadra tutti i più forti giocatori del pianeta è un grosso vantaggio. Detto questo, per essere bravi “e-gamer”, occorrono sicuramente strategie e tattiche efficaci. Io, ad esempio, uso il 4-4-2 o il 4-2-3-1, puntando molto sulla fase difensiva, per evitare di subire gol».