Alto contrasto | Aumenta dimensione carattere | Leggi il testo dell'articolo
Home Articoli Rivista Idea «Alba la capitale dell’enogastronomia e del buon vivere»

«Alba la capitale dell’enogastronomia e del buon vivere»

Pierluigi Pardo svela la sua passione per le Langhe: «Tutto è cominciato con una gita di due giorni da Milano, ci torno sempre. Luoghi meravigliosi dove si sta bene con anima e corpo. Petrini e Farinetti precursori. Il mio vino preferito? Un bianco, il Cinerino»

0
394

C’è un’altra passione di Pierluigi Pardo che rivaleggia con quella più conosciuta, che poi coincide con la sua professione, ovvero il calcio, e si tratta dell’enogastronomia. Quando gli parliamo di Lan­ghe, non a caso, si illumina: «Un posto magico, che negli anni ha saputo usare al meglio le armi della co­municazione, diventando ap­prez­zato in tutto il mondo».

Pardo, l’estate scorsa era a Dogliani come ospite del Festival della Tv: ne ha approfittato per gustare qualche specialità?

«Ovviamente sì, ma l’ho fatto spesso anche in passato. Quando per lavoro mi sono trasferito da Roma a Milano, mi sono concesso diverse volte brevi vacanze eno­gastronomiche di due o tre giorni nelle Langhe».

Veniamo subito al sodo: quale vino preferisce?
«Premetto che non sono un esperto, mi limito a bere. E anche se so bene quanto siano prestigiosi e straordinari i rossi piemontesi, devo ammettere di essere un “bianchista”. E in particolare, sono un appassionato di Ci­nerino. Mi inchino ai rossi, ma ci sono rivelazioni sempre più interessanti tra i bianchi».

Già che ci siamo, un piatto da abbinare?
«Qui c’è l’imbarazzo della scelta, ma non sbaglio tra “plin” o “ta­ja­rin”… Per non parlare di tartufo e tutto il resto, ma gli approfondimenti li faccio nella mia trasmissione su Radio24 assieme a Davide Oldani».

Una definizione per Alba?
«La capitale dell’enogastronomia italiana, senza dubbio, grazie anche al lavoro svolto in tutti questi anni da personaggi carismatici come Petrini o Farinetti. Siamo un Paese dove i luoghi del mangiare bene abbondano, ma certamente nelle Langhe hanno saputo battere tutti sul tempo, hanno fatto le cose per bene prima di tutti. Ecco perché adesso possiamo parlare di capitale del cibo».

Quali sono i suoi luoghi del cuore, oltre ad Alba?
«Ce ne sono diversi. Costigliole d’Asti, per esempio, dove conservo il ricordo di un soggiorno meraviglioso in uno dei miei primi viaggi in Piemonte. Poi, però, torno spesso proprio ad Alba e dintorni dove ho alcuni amici ristoratori, da Maurizio a Paolone e altri».

Come li ha scoperti?
«La prima volta è stato per una gita da Milano alla ricerca di relax. Ora è una consuetudine che mi concedo una o due volte all’anno. Sono luoghi che ti regalano un salutare isolamento ad appena un’oretta di macchina dalle metropoli».

E le persone rispecchiano certi valori?
«Certo, tanto che tutto l’ecosistema delle Langhe ci suggerisce nuove riflessioni anche alla luce dei “lockdown”. Abbiamo visto che trascorrere tempo in luoghi come questi è molto meglio che farlo nelle città. Abitare qui diventa attraente come non mai, si sta bene e si ha tutto: servizi, qualità e comunque Torino, Milano e Genova sono a breve distanza. Però nel verde e nella salubrità della natura. Un’isola felice, un po’ come la mia Ponza».

Le Langhe sono diventate anche “alla moda”, luogo da calciatori e modelle…

«Però piene di bellezza. Il valore è reale, legato al prodotto di qualità. Questo è alla base di tutto, anche dell’immagine ormai iconica. Non mi sorprende che certi personaggi ne siano affascinati. Chi lavora con l’adrenalina, a certi livelli, arrivando qui trova un rifugio sicuro e confortevole».

Che cosa ama di più di questo ambiente?
«Il silenzio. Per me è un’attitudine e un’abitudine. Ogni tanto è essenziale allontanarsi dal traffico alla ricerca di un po’ di pace».

Per l’Italia il “Food” può rappresentare una via di fuga dalla crisi?
«Credo che la pandemia abbia spostato l’attenzione su quali siano le cose più importanti per noi da un punto di vista filosofico, in attesa dei soldi che arriveranno per ripartire. Sappiamo l’importanza della scienza, per esempio, e della salute. Ovvero quanto sia prezioso vivere in posti dove si mangia bene e si sta bene. Il focus si è spostato sulla necessità di rallentare il ritmo. Poi resta l’urgenza di nuove infrastrutture oltre che dello sviluppo tecnologico. Sul piano enogastronomico, attenzione e comunicazione hanno già esaltato il ruolo dei grandi chef, magari con elementi di spettacolarizzazione, comunque riuscendo nell’intento. E non ci sono solo i cibi di alto livello, come il tartufo: abbiamo assistito a un rilancio delle ricette povere ma di qualità, grazie alla ricca biodiversità del nostro territorio».

Quale piatto andrebbe a mangiare adesso, se potesse?

«Adesso mi faccio un bel piatto di rigatoni napoletani Scarpariello, subito, a pranzo. Il “lockdown” ci ha tolto il piacere dei ristoranti, qualcosa che a me manca molto. Certo, ho ovviato con il cibo da asporto. Ho preso qualche chilo in più, infatti, e ho bevuto qualche bicchiere in più, con attenzione. Sono piccole cose che confortano».

Ne usciremo meglio o peggio?

«Resto ottimista. Questa è stata una tragedia: molti hanno perso il lavoro, altri hanno pianto persone care. Però, tra le turbolenze, si potrebbe trovare un nuovo equilibrio, capire dove e come vogliamo vivere. Ab­biamo anche visto che la scienza non è democratica, per guarire hai bisogno del medico migliore. La centralità è nella qualità della vita e in Italia abbiamo tutto per poter vivere meglio».

BaNNER
Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial