Castagnito, la biodiversità è un fatto culturale: focus su un paese del Roero fatto di vigne, alberi e storia

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Castagnito, nome attualizzato e corrente per quella comunità che un tempo era “Castagnetum At Tanagrum”: un nome composito, che sin da subito racconta un po’ di più su un territorio che è parte viva ed integrante del Roero, lasciando comprendere una molteplice serie di vocazioni a tutto ciò che è natura, a quanto scorre, a quanto cresce.
Dagli alberi di castagno all’eterno fluire del fiume Tanaro: segni di ambiente come cornice per un paese in continua evoluzione, e che al momento registra 2.236 abitanti distribuiti tra il Capoluogo, la frazione di San Giuseppe, e la più recente -in ordine di tempo- urbanizzazione di località Baraccone.

Anime diverse: già dalle origini, quando tutto era diviso tra il borgo di sommità del “Servilianum” citato per la prima volta nel 1249, e la “Dusiana”, ossia la valle che corre sino al pianoro del Tanaro stesso, e accarezza la vicina Magliano Alfieri.
E storie differenti, che storia e destino hanno diviso: ma, soprattutto, unito. Il tutto, nei segni della terra: ma pure di una religiosità mista a folkore e tradizione, che genera un eterno, ideale inseguimento tra nomi sacri e “topos” peculiari, identitari.

Come la Madonna delle Campagne, proprio dove Vezza d’Alba sfuma in terra castagnitese: una cappella, una strada tracciata, pietra tra le vigne: ai piedi di un primo colle remoto -quello di San Quirico, palco naturale sulla piana del Borbore, già sede dell’antico cimitero- che osserva la cima del Castel Verde, estremo di un castello ora scomparso, e sulle cui pendici sorge la Casa Comunale nata come cascina dei Conti Roero.
Fa effetto, pensare come questo luogo fu sede di una battaglia più che sanguinosa: all’epoca delle signorie, dei Visconti, di soldati dai diversi idiomi, inglesi del defunto Lionetto di Clarence e i Visconti, mercenari del Monaco di Hecz, i vassalli di Jaffa.

Fa effetto perché qui, ora, c’è una sensazione di quasi-pace: appena appena contrastata dalle tracce d’esistenza delle carceri dei Conti, scavate qui in toni gotici. Una pace che toglie il suo “quasi” e si corona ogni anno, alla vigilia di Pasqua, dal rito del “Suonare le conchiglie” che per un giorno si sostituiscono al suono delle campane taciute dalla morte di Gesù in Croce. Segno di mare, che c’era qui prima dell’uomo: cenno di acqua e di sale, omaggio che si ripete nell’essere Castagnito una tappa sulla “Via del Sale”, onorata ancora oggi dai “Cartuné” con i loro cavalli e le loro carrozze, che in questo paese sono “di casa”.

Più che un paese, sembra un cammino, in cui è facile inebriarsi già di pensieri inclini al frutto che porta dalla vigna alla cantina, e termina nel bicchiere e nel cuore: come vino, nel solco d’eccellenza del Barbera Doc e del Roero Arneis Docg, che esalta mente e immaginazioni, e genera passi e passione.

Paese “liquido”: come testimonia anche, nel centro, il “Percorso dell’Acqua” che si muove tra pozzi, macine e archi nascosti, e forma un nodo al fazzoletto delle proprie radici nella mostra fotografica permanente creata dal lavoro di ricerca di Elio Allerino e Lorenzo Merlo. Qui, nel salone monumentale posto nei sotterranei del municipio: un “corpus” documentale in continuo aggiornamento per riscoprire le origini umane di Castagnito, per chi lo vive, per chi lo visita.

E’ tutto un pellegrinaggio che dalla Parrocchiale di San Giovanni Battista e dalla vicina Confraternita dello Spirito Santo (da poco inserita negli itinerari del Museo Diocesano Diffuso) strizza prima l’occhio al teatro comunale, e poi alla Cappella della Madonna del Popolo con le sue storie fatte di ex voto, di straordinaria partecipazione popolare come segno di vitalità presente e antica.

Si fa mistero presso la chiesa di San Bernardo, la “cappella pendente” con i suoi soffitti che recano una sorta di rebus pittorico risalente al Settecento: un arcano che è anche un punto fisso nella mappa del progetto intercomunale dei “Sentieri dei Frescanti”, che si infittisce una volta passati per Tortorino che unisce a Castellinaldo d’Alba come compagni resi amici dal colle della Granera, anche lui consacrato al Barbera.

E si spinge giù, come una testa di serpente buono, verso il crocevia del pilone mariano del Chiosso: ed entra deciso nella frazione di San Giuseppe.
Proprio lì, dove sorge in Soarme, tra le vigne, la “Quercia della Libertà” piantata qui il 25 aprile 1945 dalla famiglia Massucco, la strada suggerisce e si propone da sé: quasi indicando la strada della Serra, che va oltre tra i filari, dando segni confortanti come il Pilone di San Carlo (o “delle rose”), tenuto come un gioiello dalle cure della famiglia Marello della Serra, e lascia intendere un qualcosa che non c’è, ma pulsa di memoria. E’ la “Serra Sancti Petri”, la Serra di San Pietro, paese che non fu: vigne invece di possibili case, così qui, così nello scorrere dei sentieri verso Magliano Alfieri.

Alberi, dicevamo, come perfetto completamento di un paese e di un Roero per cui la biodiversità non è solo un proclama quanto un fatto obiettivo: lo stesso Comune lo sa, e ha già in cuore un piano volto a “adottare” nuove essenze legandole alle generazioni che stanno crescendo. Gli adulti del futuro: al lavoro per un passaggio del testimone nell’avvenire, per preservare quella consapevolezza di terra e origini.

Tra l’una e l’altra specie, qui si è trovato quell’equilibrio tra natura e tocco dell’uomo consapevole di quanto si debba amare la quotidianità circostante: per una terra che va accompagnata, e mai dominata, sorella e madre più che serva e recalcitrante sposa. Lo dimostra anche a valle, quando il paesaggio vitivinicolo che si invita all’Unesco si dissolve nella pianura: tra canali e spazi d’acqua curati a partire da quella che fu la Cascina del Lavandaro, un moderno Talete che sa quanto l’acqua sia inizio di civiltà, come il vino è primo cenno d’accoglienza.

Luoghi che paiono primavere: proprio lì, ancora a Baraccone, sede della fiera del primo di maggio dedicata ai fiori e agli animali d’affezione, finestra che si apre sull’estate, esplosione della vita. Così è Castagnito: una mano tesa, adorna di un bicchiere di vino e di un fiore, che ti dice «vieni, amico mio, facciamo festa insieme».

Ed è anche qui che, a breve, troveranno spazio i monolitici steli in pietra ideati dallo studio di architettura Colombatto-Cravanzola sulla base di disegni dello scultore Riccardo Cordero, nell’ambito del progetto “Arte&Paesaggio” volto a consacrare nella creatività il territorio multicomunale del Castellinaldo Barbera Doc, che trova il proprio capofila nel paese di Castellinaldo d’Alba con il Comune e l’associazione dei Vinaioli: in un patto di fratellanza che parte dai sindaci e, passando per i vigneron roerini, si propone al grande pubblico per un vino -e colline di inventiva- che continuano a sorprendere. Anche in questo innovativo percorso di visita, tra filari e arte pura.

Paolo Destefanis