«Servono studio, passione e umiltà»

Intervista al roerino Giuseppe Fasolis, dal 1997 direttore del servizio di urologia presso l’Asl Cn2

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Il segreto che ha portato il dot­tor Giuseppe Fa­so­lis a essere annoverato tra gli urologi più stimati in ambito nazionale risiede in quattro sue qua­li­tà: grande competenza, passione smisurata per la professione, propensione a met­­tersi in gioco e fiducia nei collaboratori. È il ritratto che tracciamo di lui dopo averlo in­contrato nel suo nuovo ufficio, al terzo piano dell’ospedale di Verduno, nel cuore del re­par­to di urologia dell’Asl Cn2, servizio di cui è direttore dal 1997.

Dottor Fasolis, partiamo dalla vo­stra nuova “casa”. Com’è sta­to l’impatto con il nuovo nosocomio?
«Ottimo. Grazie alla sua struttura architettonica e, in particolare, per via dello sforzo profuso dalla Fondazione nuovo ospedale “Alba-Bra” e dall’Asl Cn2, il presidio ospedaliero è realmente, come spesso lo si descrive, avveniristico. Soprat­tutto, però, ed è l’aspetto che più mi piace evidenziare, è estremamente fun­zionale. Ciò significa che ciascun pa­zien­te può afferire alla struttura avendo la certezza di usufruire di un servizio eccellente sia dal punto di vista medico-sanitario che dell’acco­glien­za. Basti pensare che i pa­zienti ricoverati nel re­parto di urologia (ma anche in altri) hanno a disposizione stanze sin­­go­le, do­­tate di tv e ba­gno. In­som­­ma, un con­­­te­­s­to che, ne sia­mo cer­­ti, con­­tri­bui­rà a rendere più “leggera” la degenza presso la struttura ospedaliera».

Quali altri novità caratterizzano il reparto di urologia?
«Senza dubbio le strumentazioni all’avanguardia che vengono impiegate sia per le diagnosi sia per gli interventi chirurgici».

Ci sono attività mediche in cui l’utilizzo delle tecnologie più moderne si è rivelato maggiormente decisivo?
«La robotica risulta preziosa in ogni attività, da quelle “tradizionali”, come le prostatectomie radicali, le nefrectomie, le ne­frectomie radicali e le surrenectomie, a interventi più complessi: con la videolaparoscopia robot-assistita, effettuiamo ci­stectomie radicali, con successiva ricostruzione della vescica attraverso l’impiego di anse intestinali».
L’utilizzo di nuove tecniche e strumentazioni vi ha resi un’autentica eccellenza, vero?
«Per il trattamento dell’adenoma prostatico, siamo stati i pri­mi in Italia a proporre un sistema mini invasivo, che si basa sul­l’utilizzo di vapore ac­queo (se ne parla nel box sopra, ndr). Questa tecnica riduce a pochi minuti la durata dell’intervento e assicura alte pos­si­bilità di risoluzione del problema, con notevoli benefici per i pazienti che, in caso di esito po­sitivo, non dovranno più ricorrere a farmici per trattare questa patologia».

A quante persone presta assistenza la vostra struttura?
«Ogni anno, eseguiamo qualcosa come mille interventi chirurgici ed eroghiamo tra le 10 e le 12 mila prestazioni ambulatoriali. Numeri significativi».

Che ruolo gioca il suo staff?
«Fondamentale. Ciascuno dei di­rigenti medici, ovvero Jacopo An­tolini, Sergio Lacquaniti, Gu­glielmo Mel­loni, Alberto Par­mi­giani, Luca Puccetti e Fran­cesco Varvello, oltre alla coordinatrice infermieristica Ivana Brizio, è specializzato in una tematica specifica del­l’urologia, assicurando così al re­parto la capacità di gestire, peraltro con grande competenza, ogni tipologia di problematica. Ho la massima fiducia in loro e nell’intero personale infermieristico, estremamente competente e disponibile».

Il caso che non scorderà mai?
«Quello di un ragazzo africano a cui, grazie a un intervento durato otto ore, salvammo la vita e la funzionalità degli organi nonostante fosse giunto in ospedale in condizioni disperate; ricordo poi i pazienti, e finora sono una cinquantina, che hanno visto mi­gliorare la propria quotidianità e l’aspettativa di vita grazie agli interventi realizzati mediante l’impiego delle nuove tecniche e delle più recenti tecnologie».

La ricetta “giusta” per dirigere un reparto ospedaliero?
«Non esiste il medico infallibile: il più bravo è quello che sbaglia meno. Per questo, ho sempre cercato di mantenere un approccio umile e di confrontarmi con i colleghi. In pa­rallelo, bisogna sempre dare il massimo, in modo da essere certi di aver messo in campo il meglio delle proprie competenze anche nei casi in cui l’imponderabile ha purtroppo pre­so il sopravvento. Ma, alla ba­se di tut­to, c’è una passione unica per que­sta professione, rimasta im­mutata negli anni».