Da Cuneo a Tallin sognando Capo Nord

Dall’oggi al domani il centallese Paolo Viada si è “inventato” una pedalata di 2.600 chilometri

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Quando ci si trova a scrivere di grandi imprese umane, che siano sfide al limite, viaggi oceanici o scalate da sogno, di solito ci si imbatte in avventurieri maturi, già pronti a raccontare e raccontarsi, riempiendo le loro narrazioni di interpretazioni filosofiche e imbevendo le loro azioni di significati che talvolta sono persino di difficile comprensione.

La storia di cui parliamo questa volta, invece, è del tutto diversa. Intanto, perché è la storia di un ragazzo di poco più di vent’anni, da sempre avvezzo alle “fatiche” sportive ma lanciatosi da poco in azioni che si possono definire estreme. Soprattutto, però, perché è la storia di un ventunenne che vive le sue avventure (almeno per ora) senza ricercarne un senso che vada “oltre”, ma per il semplice piacere di viverle e portarle a termine. È, in sintesi, la storia di Paolo Viada.

Paolo, partiamo da qui, come nasce l’idea di cimentarsi in avventure complesse?
«Sono onesto: per sfizio e per gusto personale. Quelle compiute in questo 2020, ad esempio, sono nate quasi per riempire i giorni e le domeniche. Penso a una possibile avventura, inizio a sognarla e la metto in pratica».

L’impresa di cui parliamo, in particolare, l’ha portata da Cuneo a Tallin, la capitale dell’Estonia, in sella a una bicicletta tra luglio e agosto. Un semplice “sfizio”?
«Diciamo di sì. Ho iniziato a elaborare l’idea nella mia mente a partire dallo scorso dicembre, poi è arrivato il coronavirus e non avrei più creduto di partire. A luglio, però, vedendo che in Europa si stavano riaprendo le frontiere, ho scelto di mettermi comunque in viaggio. L’obiettivo, in realtà, era quello di arrivare a Capo Nord, ma i nuovi focolai mi hanno fatto desistere a Tallin».

Immaginiamo, però, che l’organizzazione di un simile viaggio richieda del tempo…
«In realtà no. Ho sempre praticato attività sportiva, quindi per me è stato semplicemente come mettersi in gioco in qualcosa di leggermente più duro del solito, nulla più. L’unica pianificazione è stata quella su Google Maps: ho definito un tragitto, ho calcolato i chilometri da percorrere ogni giorno (150 circa, ndr) e sono partito, pur sapendo che avrei fatto delle deviazioni in corso d’opera».

In poco più di due settimane ha at­traversato no­ve Paesi. Ha avuto modo di “viverli”?
«Li ho, appunto, soprattutto attraversati. Ero da solo con la mia ciclocross e una tenda in spalla. Quando ero stanco e lo ritenevo opportuno, mi fermavo e riposavo. Ho visto paesaggi magnifici che mi hanno lasciato la voglia di ripartire il prima possibile».

Difficoltà nel corso del viaggio?
«Alcune, ma quelle fanno parte del gioco. La principale, però, è stata quella di mantenere carica la batteria del cellulare per avere il riferimento Gps degli spostamenti. Riuscivo a ricaricarla solo nei bar o nei pochi ostelli in cui ho pernottato, quando pioveva. Per il resto, sempre e solo tenda, sia per comodità che per risparmio».

E il coronavirus?
«A parte nei McDonald’s, dove mi indicavano di indossare la mascherina, sembra che in giro per il nostro continente il virus venga percepito come molto lontano. Anche alle frontiere non ho avuto molte difficoltà, tranne in Lituania: lì avrei do­vuto fermarmi in quarantena, ma essendo una tappa passeggera ho “rischiato” per raggiungere rapidamente l’Esto­nia.
Il suo sembra il racconto di una gita in montagna più che di una grande avventura…
«Forse perché l’ho vissuta proprio come un’uscita un po’ più lunga e strana del solito. O forse perché per metabolizzare quanto fatto ed elaborarne i ricordi mi servirà più tempo».

Davvero niente più?
«Una cosa sì, in realtà. Dopo quest’esperienza ho deciso che non perderò più tempo. Nella mia vita non ci saranno più domeniche sul divano o giornate di ozio totale. Cercherò di riempire sempre le ore al meglio».

La prossima “gitarella” in programma?
«Attualmente non ho nulla in testa, ma è questione di mo­menti: ti nasce l’idea in mente, la pianifichi e parti. Non serve una finalità, né tantomeno è necessario essere appassionatissimi di una disciplina. Che sia in bicicletta, di corsa o con gli scarponi, l’importante è andare all’avventura. Magari quest’inverno potrei fare un mix di sci e bicicletta in alta montagna. Perché no?».