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Al cinema: “Padreterno” arriva in sala

Il film che è valso a Venezia il premio come miglior attore a Pierfrancesco Favino racconta l’attentato al padre del regista, che segnò la vita di tutta la sua famiglia

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Approda in questi giorni nelle sale cinematografiche “Padreterno”, il film diretto da Claudio Noce e presentato alla Mostra del cinema di Venezia che è valso il premio “Marcello Mastroianni” come miglior attore a Pierfrancesco Favino. La pellicola è ambientata nel 1976 a Roma ed è tratta da una storia vera. Protagonisti del film sono Valerio (Mattia Garaci) e Christian (Francesco Gheghi), due ragazzini che durante un’estate scopriranno due realtà opposte: da una parte conosceranno la violenza del mondo adulto e dall’altra impareranno il significato dell’amicizia. Il primo ha dieci anni e, come tutti i bimbi della sua età, è molto fantasioso. La purezza dell’infanzia, però, viene spazzata via quando Valerio, in compagnia della madre (Barbara Ronchi), vede con i suoi occhi un gruppo di terroristi tendere un attentato a suo padre Alfonso (Pierfrancesco Favino). L’intera famiglia si sente intimorita e distrutta dall’accaduto. È in questo periodo così delicato che Valerio incontra Christian, che ha qualche anno in più a lui e, a differenza sua, ha un carattere ribelle e arrogante. Tra loro nascerà un’amicizia che li segnerà per il resto della loro esistenza…
Parlando del padre, Alfonso Noce, il “Padrenostro” del film, il regista spiega: «La sua figura forte, magnetica, eroica, assurge ad archetipo di un’intera generazione di uomini per i quali le emozioni erano percepite solo come debolezza e obbligate a essere camuffate da silenzi. Nel dicembre del 1976, quando mio padre subì l’attentato, io avevo un anno e mezzo: abbastanza per comprendere la paura, troppo pochi per capire che quell’affanno avrebbe abitato dentro di me per molto tempo. Non sono mai riuscito a dirglielo. Scrivere questa lettera a mio Padre tracciando i contorni di una generazione di bambini “invisibili” avvolti dal fumo delle sigarette degli adulti non è stato facile; provare a farlo mutando le parole da private in universali è stata una grande sfida come cineasta e come uomo».

BaNNER
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