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1994 – La forza di risollevarsi dall’alluvione

Numerosi i gesti eroici e di solidarietà, tra cui il salvataggio compiuto dal sindaco di Piozzo Boffa e la ripartenza della Ferrero

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Il 1994 fu per il Pie­mon­te e, in particolare, per la provincia di Cu­neo un an­no di lutto e do­lore. Ad aprire una profonda ferita nell’anima della Granda, rimarginata solo in parte dalla grande operosità dei cuneesi, fu la tremenda alluvione che sconvolse il nostro territorio tra il 5 e il 6 novembre.
Fu un vero e proprio cataclisma, sia per la forza assunta dall’ondata di maltempo, mai vista di quell’intensità nella storia recente di quelle terre, con circa 600 millimetri di acqua caduti in meno di 48 ore, sia per le conseguenze determinate, con interi paesi completamente distrutti e alcune aree naturali modificate per sempre dalla furia dei fiumi in piena. Le piogge incessanti causarano l’esondazione del fiume Tanaro e di alcuni suoi affluenti, tra i quali la Bormida e il Belbo. Questi corsi d’acqua ruppero gli argini abbattendosi sulle abitazioni di numerosi centri cuneesi, tra i quali: Ormea, Garessio, Priola, Bagnasco, San Michele Mo­n­dovì, Nucetto, Sa­nto Ste­fano Belbo, Ceva, Bastia Mon­do­vì, Clavesana, Fa­ri­glia­no, Piozzo, Monchiero, Narzole e Alba.
«Fu qualcosa di allucinante», ricorda Luigi Sappa, all’epoca sindaco di Garessio, uno dei centri più colpiti. «Si trattò di una vera e propria sciagura», gli fa eco Enzo Demaria, primo cittadino di Alba per tutti gli anni Novanta, «La nostra grande forza fu quella di saper risorgere nel giro di pochissimo tempo, grazie al sostegno di tutti, dai comuni cittadini alle amministrazioni vicine, fino ovviamente ai Vigili del fuoco, ai volontari e alle istituzioni».
Si trattò davvero di una corsa al­la solidarietà, che vide come protagoniste principali le popolazioni colpite, capaci di fare quadrato e di unirsi con l’obiettivo comune di ripartire il più presto possibile. Manifesto di quel miracolo fu la rimessa in funzione a tempi di record dei 200 mila metri quadrati dello stabilimento Ferrero di Alba, co­mpletamente sommersi da tre metri di acqua, tronchi e fan­go. Si calcolarono danni per 135 miliardi di lire, ma la forza dei lavoratori fu eccezionale: già il mattino seguente in molti si mi­sero a spalare e pulire e in appena quindici giorni le linee dell’azienda dolciaria poterono riaprire, in tempo per non subire danni significativi in vista del periodo natalizio. Si parlò di “miracolo Ferrero”, ma un po’ ovunque si contarono gesti ve­ramente eccezionali. A Ga­res­­sio tutti gli sfollati riebbero un’abitazione entro Natale, mentre a Piozzo, che pianse la scomparsa di sette cittadini, uno di loro fu salvato da un ge­sto eroico dell’allora sindaco Felice Boffa, calatosi nelle ac­que impetuose legato ad una corda lunga quasi cento metri per mettere in salvo Gianpiero Ballauri, sbal­zato fuori dall’auto dalla forza del fiume.
Alla fine, purtroppo, si contarono 70 vittime, più di 500 feriti e 2.226 sfollati in tutto il territorio piemontese.
Il nostro Paese seppe fare tesoro di quella tragica esperienza, rafforzando la Protezione civile, nata appena due anni prima, e incentivando le attività di prevenzione su tutto il territorio. Fu, insomma, un dramma collettivo, ma anche il simbolo del coraggio e della voglia di rivalsa piemontesi.

BaNNER
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