Gianni Riotta, lei risiede negli Stati Uniti: possiamo dire che per una volta, a proposito della gestione del Covid, in Italia siamo stati più bravi degli americani?
«Purtroppo non si tratta di una gara, non è un derby. Se guardiamo più in generale alla situazione del Covid 2020 nel mondo, vediamo che in quelle nazioni dove la fiducia della gente nei confronti del proprio governo è alta, la gestione è stata ottima. Penso a Germania, Singapore, Taiwan, Corea del Sud e Nuova Ze­landa. Dove invece le persone hanno, per motivi diversi, una certa sfiducia, è stato un disastro. Mi riferisco a Brasile, Stati Uniti e, seppur ne sappiamo poco, la Russia. In Italia diciamo che siamo in una via di mezzo».

E non è una posizione virtuosa?
«Il risultato complessivo non è stato tragico, ma se ricostruiamo la vicenda ci sono troppe incongruenze. Sui social ho fissato un mio post di gennaio, quando spiegavo come il virus in Cina stesse infettando migliaia di persone tra l’indifferenza generale. Intanto vedevo in tv Atalanta-Valencia con Bergamo focolaio del virus. Se quindi in Italia fossero state prese a gennaio le misure introdotte a marzo, mi domando come sarebbero andate le cose, per esempio nelle Rsa?».

L’altro virus è quello economico, su questo versante l’Italia è messa anche peggio?
«Negli Usa sono stati persi 40 milioni di posti di lavoro, ma in una realtà che sappiamo flessibile, con la Borsa in altalena. L’Italia è una realtà particolare e mi spiace. Non è ancora mai uscita dalla crisi del 2008. Il ritardo è pesante, a cominciare dal digitale. E non serve alcuna “task force” per metterlo in evidenza. Vi consiglio il libro di Andrea Ca­pos­sela, “Declino, una storia italiana”, oppure anche “L’Ita­lia nel Novecento” di Miguel Grotol. In queste opere si spiega bene la poca disponibilità del sistema italiano a cambiare stili di vita, ad accogliere l’innovazione».

In particolare a cosa si riferisce?
«Per esempio alla questione dell’uso dei contanti. Perché c’è questo ostracismo nei confronti dei pagamenti con carta? Perché esiste il lavoro nero. E guardate che, oltre alla grande evasione, c’è anche tanta piccola evasione. Sono questioni che portano a conseguenze gravi. Come la continua emigrazione: ogni anno i migliori se ne vanno. Ogni anno 5 mila medici laureati all’università pubblica (quindi una risorsa pagata da tutti) scelgono di trasferirsi in Francia e Germania, vanno ad arricchire altre nazioni. Ho partecipato a una ricerca per “Think Thank Basilicata”, The European House Ambrosetti: sapete quanti studenti lucani rientrano dall’estero? Nessuno. Non rientra nessuno».

Da che cosa dipende secondo lei?
«In Italia non si vuole innovare. Penso alle eccezioni di chi ritiene ancora così importante il latino, la calligrafia… Penso a chi si occupa di cultura che quasi sempre è anziano, intendo anziano di testa».

Latino e bella calligrafia non sono importanti?
«Anch’io ho studiato al Liceo Classico però guardate che i Ro­mani erano innovatori ma non parlavano il greco. Lo usavano per arricchirsi con una cultura che altrimenti avrebbero perso, prendevano il meglio da ogni luogo dove arrivavano. Gli italiani oggi non vogliono cambiare. Sarei lieto di essere contraddetto dai fatti però è così…».

L’America ha Trump: è un personaggio così mediocre come sembra oppure qualcosa ci sfugge?
«Trump governa secondo la strategia del caos che, di fatto, lo ha portato alla Casa Bianca. Rimarrà in carica? Al momento è staccato 49-41 per cento da Byden. Può ancora vincere. Può anche perdere. Credo che di Italia-Corea ce ne sia stata solo una, se l’avessero rigiocata sarebbe andata diversamente. Difficile che una sorpresa si ripeta due volte, ma vedremo. Trump non ha fatto nulla di quello che aveva dichiarato. Era il “rocket-man”, poi ha fatto la passeggiata con Kim Jong Hun il quale poi ha ripreso a puntare sul nucleare. Stesso comportamento ondivago con l’Iran».

C’è chi dice che Trump porti a­vanti una battaglia contro il “Deep State” americano e an­che contro il “Nuovo ordine mondiale…
«Chi sostiene che ci sia un “Nuovo ordine mondiale” non è complottista. È solo un pirla. Non ci sono poteri forti occulti, ci sono quelli che vediamo».

Il giornalismo come sta raccontando questa realtà complessa? In Italia grazie al Covid ha forse fatto un passo avanti?
«Quando negli anni ‘90 proposi la “rivoluzione digitale”, qualcuno mi disse che Internet era come un borsello, sarebbe passato di moda. E un manager mi confidò: punteremo sulla carta fino a quando non finirà, a quel punto noi saremo in pensione. Hal Varian, capo economista di Google, ha detto: non esistono content provider migliori dei giornalisti. Ed è vero, ma in Italia non abbiamo saputo adeguarci all’innovazione e siamo in spaventoso ritardo. Un vero peccato».