In un’intervista esclusiva il presidente della Regione Liguria Toti illustra il “caso” del ponte sorto dopo il crollo del “Morandi”

Non solo l’Italia, ma il mondo intero guar­­da a Genova con ammirazione per la determinazione e la celerità con cui si è rialzata dal dramma del viadotto Pol­cevera, tristemente noto anche come “pon­te Morandi”, crollato parzialmente il 14 agosto 2018, provocando 43 morti e 566 sfollati.

Una tragedia che ha scosso l’opinione pubblica e, soprattutto, il capoluogo ligure che, da questo incubo, ha saputo tirare fuori il meglio, riuscendo a progettare e a costruire il nuovo ponte in meno di due anni. Un mezzo miracolo che è stato ribattezzato “modello Geno­va” e che viene guardato con particolare attenzione anche dal governatore piemontese Alberto Cirio, che vorrebbe attuare lo stesso sistema per poter concludere celermente l’autostrada Asti-Cuneo. Di questo virtuoso modello la Rivista IDEA ha parlato con il presidente della Regione Li­guria, Gio­vanni Toti.

Presidente Toti, quali sono state le “de­leghe” autorizzate dal Governo che hanno consentito di procedere spediti?
«I commissari per l’emergenza e per la ricostruzione hanno potuto operare in deroga a molte delle normative esistenti, tra cui il Codice degli appalti, al fine di accelerare il più possibile la de­molizione, la progettazione del nuo­vo ponte e la ricostruzione. Si è molto di­scusso sulle deroghe, poi precisate e meglio circoscritte nei mesi successivi al crollo: norme antimafia, misure di prevenzione e tutti i vincoli derivanti dall’apppartenenza al­l’Unio­ne europea non sono stati oggetto di deroga, così come tutte le disposizioni di legge in materia penale naturalmente. A ri­costruzione ormai conclusa, ritengo che la via scelta nel 2018 sia stata giusta e, fatta sal­va l’eccezionalità della situazione che speriamo non si ripeta da nessuna parte, spero sia un’oc­casione per ripensare il me­todo per la gestione degli ap­palti pubblici per le grandi opere».

Renzo Piano ha paragonato i lavoratori impegnati nella co­struzione del ponte agli infermieri in prima linea negli ospedali contro il Covid. È d’accordo?
«Il paragone è suggestivo e co­glie un nesso profondo tra due momenti di emergenza, molto diversi tra loro, che hanno colpito il nostro territorio in questi ultimi due anni. Anche la tragedia del “Morandi” è stata in un certo senso “pandemica” o, al­meno, ha avuto una risonanza mondiale purtroppo sorprendente.

Quelle immagini in pochi giorni hanno fatto il giro del mondo e hanno comunicato il senso di una ferita, di una frattura che andava ricomposta. Per questo gli operai che hanno lavorato con grande dedizione in tutti questi mesi hanno sentito più che in altre circostanze l’orgoglio, il valore della loro opera. È stato evidente proprio in questi ultimi mesi, quando l’emergenza del ponte si è intersecata con quella sanitaria: il cantiere è andato avanti giorno e notte, anche nei festivi e nei giorni di Pasqua, nonostante alcuni casi di Covid tra le maestranze. Anche gli infermieri nei reparti dei nostri ospedali non si sono risparmiati e hanno ri­schiato in prima persona con grande senso civico e spirito di sacrificio esemplari.

Renzo Pia­no ha messo la sua autorevolezza, la sua indiscussa competenza e il suo amore per Genova e la Liguria nel disegno del nuovo ponte sul Polcevera. L’ha fatto con la semplicità dei grandi, in spirito di servizio, senza ambizioni autoriali: ha cercato di essere interprete sobrio ed es­senziale di un’opera che è diventata simbolo dell’intraprendenza e della tenacia dei liguri».

 

In provincia di Cuneo e in Piemonte c’è grande attesa per il via libera agli spostamenti nella vicina Liguria, dove il 18 maggio hanno riaperto sia le spiagge che gli stabilimenti balneari

Questo modello è esportabile anche nel resto d’Italia?
«Se oggi tutti parlano di “modello Genova” un motivo ci sarà: per una volta non c’è stata dispersione burocratica, tutti i soggetti coinvolti si sono mossi mantenendo la giusta sincronia e concentrazione sull’obiettivo.

Un miracolo? No, ma capacità e senso di responsabilità per una volta hanno avuto la meglio sul pressappochismo e su certi stili di gestione opaca che abbiamo visto in passato. Certo, la grande emozione della tragedia ha avuto il suo peso.

Sta di fatto che il nuovo ponte di Genova è diventato senza volerlo un riferimento per le grandi opere e, forse, una cartina al tornasole che denuncia un andazzo di inconcludenza politica e amministrativa dal quale dovremmo liberarci una volta per tutte. Per poter replicare questo modello, occorrerebbe un confronto politico franco e di alto livello, che metta le esigenze dello sviluppo e dello svecchiamento delle no­stre infrastrutture al centro del ragionamento e al di là di ogni interesse di parte.

Se è sempre difficile e un po’ insidioso trasferire metodi messi a punto e maturati nelle grandi emergenze sulla gestione ordinaria delle opere infrastrutturali, non possiamo neanche dire che la celerità e l’accuratezza che abbiamo visto in questi mesi nel nostro cantiere non ci interessino, siano qualcosa che non serve al “sistema Paese”: anzi ne abbiamo bisogno come ossigeno».

Anche sull’autostrada Torino-Savona, dopo il crollo di un viadotto, avete dato dimostrazione di efficienza. Tuttavia restano tante le criticità su quello snodo.
«Sì, ma riguardano il rapporto di Autofiori con il Ministero delle infrastrutture. Noi come Re­gione e struttura commissariale stiamo seguendo soltanto il completamento della messa in sicurezza del fronte di frana, per il quale Autofiori sta predisponendo il progetto: altri interventi non sono più emergenziali, quindi non sono di nostra competenza e direi che sono da ricomprendere nell’ampio capitolo di adeguamento delle infrastrutture autostradali che riguarda tutto il Paese.

Per quello che ci riguarda, ancora una volta il sistema emergenziale ligure ha dato prova di grande capacità e reattività: poco più di quattro mesi per ricostruire il viadotto e interruzioni del flusso veicolare ridotte al minimo».