Canale da amare: dall’isolamento alla riscoperta, tra speranze e attese

0
790

Basterebbe poco: due passi, appena fuori di casa, o in un breve giro in auto. Ci vorrebbe quasi nulla, se non le progressive aperture al diktat “state a casa”, figlio dell’emergenza Covid-19. Eppure, periodi come questo, ci consentono di capire davvero le qualità del nostro territorio: e capire, come in un ripartire da capo, come voler bene ai luoghi quotidiani.

Canale ne è un esempio: vive e trasuda di consuetudini e rituali che meritano di essere conservati e portati sotto la giusta luce: un museo vivente, che vale la pena riscoprire. Come un giro di calendario, come un nodo al fazzoletto: ma anche come un lungo segno rosso sul calendario, che per una volta non indica i giorni festivi, ma quelli per cui riflettere tra vissuto e avvenire.

TERRA DI SANTI
Nell’addentrarci in questo breve cammino sul ponte tra passato, presente ed avvenire, non possiamo che fare quanto occorre quando si inizia un pellegrinaggio: affidarci ai nostri santi. E andando con ordine, già il 2 gennaio di ogni anno troviamo la prima festa in onore di uno dei patroni canalesi: stiamo parlando di San Defendente, nume tutelare di Valpone e delle colline circostanti che condivide con il “collega” San Vittore i suoi protetti e l’uniforme.

Curiosamente, entrambe le sacre figure sono riconducibili a quella leggendaria Legione Tebea composta in epoca imperiale da soli soldati cristiani, perseguitati per ciò da Domiziano essendosi rifiutati di combattere contro popolazioni barbare che condividevano lo stesso Credo.

Troviamo altri esempi della “Legio Invicta” in San Bernardino, con la statua di Sant’Espedito (il santo più veloce dei Cieli, che riporta l’insegna “Oggi” nella sua mano ed a cui ci si raccomanda per le grazie più urgenti): permangono poi tracce di questo vero e proprio “caso” nei toponimi semi-scomparsi di San Martino, San Giuliano e Santa Liberata che si dice fosse donna camuffata da soldato per amore della Croce. C’è da pensare che non sia fortuita la loro fitta presenza a Canale.

RITI TRA SACRO E PROFANO
E poi, avanti con i mesi, troviamo ancora un altro rito che cade proprio in questi giorni di maggio dedicati a San Vittore: se qui si svolge l’ormai antichissimo richiamo alle “rogazioni per la campagna”, uno spazio tutto suo è quello dei “lubià”. Questo pane candido e sottilissimo, fatto solo di poca farina ed acqua, è tuttora distribuito dagli inoppugnabili borghigiani nel giorno dell’esposizione delle reliquie vittorine.

Il solo parlarne scoperchia un calderone colmo di significati: con molte probabilità, esso è infatti la testimonianza diretta di una presenza non secondaria di una comunità ebraica a Canale. Molto tempo fa, gli stessi borghigiani di sesso maschile furono noti per il loro portare frequentemente la “lobbia”, un copricapo nero e a tesa larga del tutto simile a quello portato dai rabbini.

Uniamo a questo elemento quello legato alla presenza di un forno posto a fianco della chiesetta di San Vittore, ed in cui i medesimi giudei facevano cuocere il loro pane azzimo e ne commerciavano con i concittadini: scomparsa o diradata la presenza di tale comunità, rimase però il rito di fare il pane proprio come lo facevano loro e di distribuirlo in occasione della festa del patrono, in una mescolanza di riti nei quali a sopravvivere c’è stato proprio il “lubià” nella sua versione leggera e adattata a mo’ di ostia.

TORNERA’ LA “COLOMBA”: MA NON ANCORA
E’ sufficiente attendere una manciata di giorni per un altro spettacolo: tornato alla luce nel 2012 in occasione del compiuto restauro di San Bernardino, il “Volo della colomba” ha tutte le carte per diventare un evento-culto per Canale e per l’Albese. E il bello è che non è nemmeno una novità: l’abitudine volta a far scorrere per tutta la piazza un fuoco pirotecnico con la forma del pacifico volatile era già in voga qui in tempi lontanissimi.

Il tutto si svolgeva proprio in onore della festa del San Bernardino: una lunga fune veniva tesa dalla vecchia Cittadella e sino alla facciata del sacro edificio, e dopo gli inneschi di rito la “colomba” veniva fatta partire sotto lo sguardo di centinaia di occhi speranzosi. E sì che il proiettile avrebbe dovuto compiere tutto il suo lungo percorso e tornare indietro. In questa annata, se ne è dovuto fare a meno a causa del lockdown: più importante ancora, dunque, tornare sull’argomento e tenere in caldo le emozioni, con il ricordo e la speranza nel futuro.

IL “MANICO DI CANALE”
Stesso discorso vale poi per il Sacro Cuore: tenendo fede a chi per primo ci credette, ossia il Monsignor Luigi Sibona, ogni anno questa data del calendario liturgico è motivo per portare sulle strade il “Gesù Grande”, lignea ed enorme statua quale copia fedele di quella bronzea che dal 1932 veglia su Canale dalla sommità del campanile. E’ quasi il suo compleanno: e non è mistero come questa abitudine, nei decenni che ne seguirono, abbia creato anche qualche punta d’invidia nei paesi limitrofi: ma tant’è, e si sa che ognuno debba valorizzare ciò che ha in casa.

Ci sarebbero poi molti altri aspetti da evidenziare: la più prosaica passione che suscita ogni partita “alla pantalera” nelle strade, il “cantè rege” (ossia, le lodi in latino) declamate in San Bernardino ad ogni novena natalizia, e negli stessi metri il proverbiale “crist ‘d San Bernardin” un tempo esposto pubblicamente ogni volta che il tempo atmosferico rendeva difficile l’economia agricola.

Tutti momenti ed immagini che talvolta sconfinano nella leggenda, come il misconosciuto “pozzo di San Giovanni” in cui in tempo immemore si raccontava venissero gettati i condannati a morte, la fitta rete di cunicoli che pare collegassero il Convento con il Castello Malabaila, la “croce di sangue” ancora oggi visibile in via Sant’Andrea.

COSA SUCCEDERA’, ORA?
Poi verrà l’estate, nonostante tutto, oltre le restrizioni di questo tempo: l’agricoltura non ha potuto fermarsi, neppure per un istante, in nome di una natura talvolta matrigna, ma che mai si arresta.

Qui, su tutto, ormai, dominano gli scenari della vigna e del vino: ma la biodiversità cerca di resistere, pur in un constesto in cui gli ultimi alfieri di quella che fu la “Canale del Pesco” sembrano giovani eroi. Giungerà il loro momento: e anche quello in cui si scioglieranno i dubbi sul “come sarà” proprio il microcosmo enoico, per una stagione che pare ben avviata ma che dovrà fare i conti con un commercio che deve risollevarsi a livello globale. Perché dalla cantina al tavolo, per i locali che solo ora possono riaprire -qui, e ovunque- la strada può rivelarsi tortuosa. La Fiera di luglio, gli eventi in generale, sono ancora un’incognita: il desiderio di risollevarsi, prendendosi il proprio tempo, invece, no.

C’è da guardare il passato: in una cittadina che ha già visto storicamente i suoi piani stravolti da fattori esterni (la filossera del ventesimo secolo, l’orribile grandinata del 1906 che fu biglietto di partenza per la “Merica” per molti), oltre che dalle guerre, e dalle recessioni cicliche. Ma che, proprio con il suo vissuto collettivo e quell’aura “di casa”, può fungere da conforto: al pari della voglia di fare che ha portato il Roero a divenire un nome da ricordare, tra fatica, sacrifici e ricerca della qualità.
Insomma, un luogo cui voler bene.

Paolo Destefanis