Coronavirus: la storia di Giulia, guida turistica torinese tornata dal Sudafrica

Nemmeno le ambizioni vengono risparmiate dal virus. Così anche Giulia, come molti altri italiani residenti all'estero, ha dovuto mettere in pausa la sua carriera e il suo sogno in Africa

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Giulia Surace durante un tour in Sudafrica (fonte: Wamkelekile2018, Instagram)

L’emergenza Coronavirus ha avuto un forte impatto sulla vita di tutti. Ha cambiato del tutto la nostra quotidianità, il modo di lavorare e di passare il tempo libero e, inoltre, non ha risparmiato i sogni e le conquiste che sono costati molti sacrifici.

E’ il caso di Giulia che, dopo l’arrivo dell’epidemia in Italia e di conseguenza nel mondo, ha dovuto lasciare il suo lavoro in Sudafrica, a Johannesburg, per rimpatriare in Italia. Più precisamente a Torino, la sua città Natale.

Giulia Surace, classe 1986, lavorava come guida turistica per un noto tour operator piemontese. Principalmente il suo ruolo era di accompagnare i turisti per tutta la durata del viaggio, dando loro la necessaria assistenza e accompagnandoli per il paese.

Il suo è stato un lungo percorso di studi che, a seguito della Laurea in Biologia dell’Ambiente conseguita presso l’Università di Torino, l’ha condotta ad approfondire le materie turistiche in modo da poter ottenere la qualifica di guida specializzandosi sulla storia, cultura e geografia del paese.

In questi giorni abbiamo avuto occasione di parlare con lei e farci raccontare la sua storia e le modalità attuate dal paese dell’emisfero australe per affrontare l’emergenza.

Quando hai iniziato a prendere servizio in Sudafrica?

Sono partita ad inizio di Dicembre 2019 per riprendere servizio, dato che già avevo lavorato per la stagione estiva 2018. Il periodo natalizio è considerato “altissima stagione” quindi la domanda era molto alta. L’affluenza turistica italiana in Africa è assai elevata, per questo motivo sono necessari diversi operatori che parlino italiano.

Qual era il tuo ruolo?

“Io lavoravo come guida turistica quindi principalmente mi occupavo di accompagnare i visitatori durante il tour programmato insieme all’agenzia di viaggi di riferimento,fornire loro le informazioni socio-culturali sul paese, valutare le eventuali problematiche, trovare le giuste soluzioni e assisterli per ogni necessità.”

Com’è cambiata la tua quotidianità dopo l’arrivo del virus in Italia?

“Appena giunta la notizia, mi sentivo un po’ sotto gli occhi di tutti, addirittura il mio capoufficio, durante una riunione di lavoro, mi ha chiesto se avessi maggiori informazioni sugli sviluppi del virus in Italia. Per quanto riguarda gli spostamenti, non possendendo una macchina, utilizzavo la piattaforma UBER dove ero registrata con il mio nome di battesimo. Spesso gli autisti mi facevano domande sulla mia provenienza e quando dicevo che ero italiana il loro sguardo cambiava notevolmente. Questo solo negli ultimi dieci giorni, dopo la diffusione della notizia del virus, in genere gli italiani sono un popolo che incuriosisce molto i sudafricani. Molto spesso, quando incontrano i turisti del nostro paese partono i cori juventini.”

Per quanto riguarda il tuo lavoro, come si è portato avanti?

“All’inizio abbiamo continuato senza cancellazioni, tenendo sempre un occhio vigile sugli accadimenti a livello globale, in particolare l’Europa perché è il bacino turistico maggiore. Quando la situazione ha iniziato a diventare seria è stata prevista la sanificazione dell’ufficio, in particolare scrivanie e computer. Da quel giorno la situazione non è migliorata affatto. All’inizio del mese di Marzo sono stati accertati i primi 10 casi positivi.”

Qual è stata la reazione della popolazione alla notizia?

“E’ stato un momento cruciale, perché da quel giorno è iniziata la corsa all’acquisto di guanti e mascherine, che in pochissimo tempo sono andate esaurite. Dopo la prima ondata di acquisti hanno cominciato ad emanare nuovi ordini disponendo un incaricato che le distribuisse in modo equilibrato. Dopo quel fatidico giorno, la mia vita si è totalmente capovolta”

Cos’è successo?

“Il giorno successivo, sono stata contattata dal mio superiore, che mi ha comunicato che a breve sarei dovuta tornare in Italia per una questione di sicurezza. Per me è stata una notizia devestante, ma dopotutto non potevo farci nulla il governo stava iniziando a prendere le prime misure cautelari e i tour programmati per i mesi successivi erano in fase di cancellazione.”

Quali sono le misure adottate dallo Stato del Sudafrica?

“Il 26 di Marzo è scattato il lockdown per 21 giorni, proprio come in Italia. Per quanto riguarda le attività commerciali e le industrie la situazione è la stessa di quella del nostro paese, ovvero solo l’essenziale viene portato avanti. Diversamente si prospetta la questione sanitaria e dell’organizzazione urbana”.

Come sono stati organizzati questi due aspetti?

“Allora: per prima cosa ti spiego com’è organizzata la metropoli di Johannesburg per capire meglio la questione urbanistica. Il nucleo della città è il polo finanziario, dove sono ubicati gli uffici, compreso il mio. Lo strato che ne ricopre il nucleo è costituito dai suburbs, nonché quartieri residenziali. In zona più periferica si trovano le Township, nonché agglomerati urbani simili alle baraccopoli del sud America. In queste “abitazioni”, le persone vivono ammassate in spazi davvero ristretti ed è molto difficile controllarne lo spostamento. Per di più, in quest’area, il tasso di criminalità e povertà è molto elevato. Qui, per porre un maggiore controllo è stato impiegato l’esercito, al fine di sorvegliare i movimenti per le strade. In questi ultimi giorni alcune conoscenze mi hanno riferito che il clima che si respira è abbastanza teso”.

“In merito al discorso sanitario la situazione si può dividere su due livelli. In Sudafrica ci sono a disposizione due tipi di cliniche: pubblica e privata. Le prime sono molto all’avanguardia e sofisticate ma, per accedervi la modalità è molto simile a quella statunitense, pagando un’assicurazione che prevede una somma di denaro assai elevata. Le seconde, le cliniche pubbliche, sono discrete però non avanzate come la nostre. Invece, alcuni abitanti, originari del luogo, fanno ancora riferimento ai Sangoma, ossia medici tradizionali paragonabili agli Shamani, tendendo così a curarsi solo con l’ausilio di erbe medicinali e invocando l’aiuto degli spiriti”.

Torniamo adesso a te, com’è funzionato il tuo rimpatrio?

“Il mio volo è stato acquistato dalla compagnia per il 23 Marzo, tre giorni prima del lockdown. In aeroporto non sono stata sottoposta a nessun tipo di controllo oltre che a quelli di routine. Per precauzione, mi sono lo stesso munita di guanti e mascherina. Arrivata a Roma, nelle prime ore del mattino successivo, ho atteso il treno per Torino, previsto per le 10.30 del mattino. La stazione era completamente blindata. Arrivata alla stazione di Torino Porta Nuova sono stata assistita dalla polizia che si trovava all’interno di un gazebo. Lì, ho compilato un modulo dove mi veniva chiesto da dove arrivavo e la mia destinazione. Dopo il mio arrivo a casa, come da protocollo, ho contattato l’Asl di riferimento, nello specifico il reparto per il rientro in Italia. L’operatore mi ha fornito un modulo da compilare, al suo interno dovevo inserire la mia temperatura corporea che andava misurata due volte al giorno: mattino e sera. In caso avessi presentato qualche sintomo avrei dovuto contattarli immediatamente. Tutto ciò era compreso nell’isolamento domiciliare di due settimane che prevedeva il protocollo”.

Ti è stata fornita un’ipotetica data in cui potrai tornare nel paese?

“Al momento no, l’unica informazione che abbiamo è che si dovrà attendere la ripresa del turismo, prevedo che sarà un’attesa molto lunga.”