Dino Borri: «È come se vivessi la pandemia per due volte»

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Ormai quasi un mese fa, ovvero l’11 marzo, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato che il covid-19 può essere classificata come pandemia.
Gli Stati Uniti d’America sono al primo posto nella classifica mondiale per il numero di persone
risultate positive al virus: 390.414 casi, 12.474 morti e 21.488 guariti (dati aggiornati
al 7 aprile, ndr).

«Almeno mezzo milione di newyorchesi è già senza lavoro o sta per perderlo. Le proiezioni
iniziali, parlano di un impatto durissimo sull’occupazione e di un enorme disagio economico.
L’unico paragone che può essere fatto è con la Grande depressione e dirlo mi spaventa. Ma
nessun newyorchese rimarrà senza cibo», ha detto il sindaco Bill de Blasio, nella conferenza
stampa di martedì 7 aprile.
Per parlare dell’emergenza sanitaria in corso ma attraverso il racconto e la sensibilità di un
italiano negli States, abbiamo raggiunto telefonicamente il braidese Dino Borri, trasferitosi
nella “Granda mela”.
«Sono 10 anni che vivo e lavoro a New York e posso dire che questa città è diventata casa mia!
Naturalmente con la tecnologia di oggi uno può vivere lontano, ma le notizie viaggiano in tempo
più che reale. Soprattutto, in un momento come questo dove tutti fondamentalmente si è a
casa, che si sia negli Stati Uniti o a Bra, stiamo tutti vivendo la stessa situazione e tutti ci stiamo informando con i mezzi di comunicazione. Parlando con i miei genitori e i miei amici a Bra, so che nessuno può uscire di casa salvo che per comprovate esigenze.

Chi come me è un italiano che vive fuori dall’Italia, praticamente ha vissuto e sta vivendo l’emergenza sanitaria due vol te. Quando è scattata in Italia, qui veniva vista e valutata in maniera diversa. Mi ricordo il periodo in cui venivamo considerati gli untori, quando c’era leggerezza nel parlare dell’epidemia.
Mi ricordo l’esodo italiano nel week-end del 7-8 marzo. Nel giro di 10-15 giorni, è diventata la stessa realtà anche qui. Ora qui mi sembra di vivere un “déjà vu”. Prima c’era la preoccupazione per famigliari e amici in Italia, poi ho visto accadere la stessa cosa e ho sentito amici americani
che quindici giorni fa parlavano come gli italiani un mese prima. Quest’alta mortalità in Italia è davvero triste, fa impressione».
New York è l’epicentro mondiale del contagio (138.836 risultati positivi e 5.498 morti, con dati aggiornati sempre al 7 aprile, ndr), anche in virtù delle sue dimensioni. «Seguo molto gli interventi dei politici», prosegue il braidese “americano”, «ma mi fido di Anthony Fauci,
il capo dell ’Istituto per le malatie infettive negli Usa. New York ha oltre 8 milioni di abitanti,
lo stato di New York più di 19 milioni. Dalle statistiche, la penisola di Manhattan è un po’
meno toccata dal virus. La vera criticità è negli altri quartieri, come Queens e Brooklyn, dove
c’è un’alta concentrazione di abitanti e di persone che hanno preso i mezzi pubblici per spostarsi. C’è timore, la città è relativamente vuota.
La gente comunque sta a casa, tutti gli uffici sono chiusi, negozi e ristoranti sono chiusi. Nello stato di New York, il “lockdown” (confinamento, ndr) è stato esteso fino al 29 aprile».
«Con Bra e i braidesi ho un contatto quotidiano», precisa ancora Borri. «Bra ha una forte
responsabilità sociale, propone tante iniziative, poi c’è dialogo tra Amministrazione e cittadinanza, specie in queste settimane particolari e mediante tanti organi di informazione e piattaforme. Ovviamente, in Italia e a Bra la preoccupazione dettata dall’emergenza sanitaria è per tutti, ma in particolare per le persone anziane. Il mio cuore batte a Bra, sono un braidese e
ho anche diversi amici braidesi qui negli Stati Uniti. Però voglio dirvi: “bravi, braidesi a Bra, per
quello che state facendo e per come vi state comportando!”.
Penso molto agli amici delle Langhe e del Roero. Porgo le mie condoglianze a quelle famiglie
che hanno perso i loro cari per questa pandemia e mi sento vicino a quelle che stanno soffrendo».