La ricerca del tartufo all’esame Unesco

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IDEA n.13 del 2 aprile 2020

Dalla Commissione nazionale parere favorevole a candidare la cultura tartuficola italiana a patrimonio immateriale tutelato dall’Unesco. Il verdetto nel 2021

La “cerca” e la “cavatura” del tartufo in Italia saranno candidate all’Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. La notizia giunge dal Consiglio direttivo della Commissione nazionale italiana per l’Unesco che, nei giorni scorsi, ha approvato la proposta avanzata dalla Federazione nazionale delle associazioni tartufai e dall’associazione nazionale “Città del tartufo”.

Di conseguenza, il dossier di candidatura “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali”, nato dall’idea dell’allora presidente del Centro nazionale studi tartufo di Alba Giacomo Oddero, è stato trasmesso al Segretariato Unesco di Parigi per l’analisi e la valutazione finale. Il verdetto arriverà nel 2021.

L’Unesco tutela come patrimoni immateriali 508 beni di tutto il mondo. Nove sono italiani e tra questi spiccano la dieta mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria e l’arte dei pizzaioli napoletani, oltre all’arte dei muretti a secco (patrimonio condiviso con altre nazioni).

Fondamentale è stato lo studio di ricerca antropologica condotto dai docenti universitari Piercarlo Grimaldi e Gianfranco Molteni, che completa e arricchisce quello che, senza dubbio, è il più ampio lavoro di catalogazione finora mai realizzato in questo ambito.

Un’attività che, al di là della candidatura al riconoscimento Unesco, ha permesso di documentare una tradizione secolare, praticata e tramandata dai tartufai su gran parte del territorio nazionale. Ne abbiamo parlato con l’albese Antonio Degiacomi, attuale presidente del Centro nazionale studi tartufo, ente che ha collaborato attivamente nelle singole fasi della candidatura.

Presidente Degiacomi, quali sono i punti di forza del dossier candidato all’Unesco?
«La prima stesura del dossier risale al 2013 e riguardava genericamente la cultura del tartufo; si è poi ritenuto opportuno approfondire l’aspetto antropologico e, quindi, di non badare tanto al prodotto in sé, quanto piuttosto a quella cultura, quei saperi e quel “saper fare” che stanno dietro al “tuber”, ponendo al centro l’aspetto della “cerca” e della “cavatura”, unitamente alla figura del cercatore e al suo rapporto con l’ambiente; una serie di conoscenze e pratiche che vengono tramandate da centinaia di anni di padre in figlio nelle famiglie e nei singoli territori. In questo senso, la comunità che unisce i cercatori di tartufo, circa 70 mila in tutta Italia, ha fornito un apporto chiave in questa iniziativa, spiegando cosa occorra fare per trasmettere questo patrimonio e per salva guardare il con testo naturale che lo custodisce».

Qual è l’obiettivo del riconoscimento, al di là del prestigio che di per sé assicura?
«La candidatura come patrimonio immateriale mira ad accrescere nella comunità la consapevolezza di disporre di un bene di assoluto valore, che è necessario salvaguardare. Per questo la candidatura contempla anche il ruolo e i compiti che spettano a ciascun soggetto interessato dalla gestione del tartufo. La stesura della candidatura ha poi permesso di raccogliere documenti e contributi multimediali molto significativi che verranno in parte messi a disposizione del pubblico attraverso i siti Internet degli enti coinvolti nella candidatura presentata all’Unesco».


  SAPERI E TRADIZIONI DEL “TUBER” UN UNIVERSO DA FAR SCOPRIRE  

L’eventuale attribuzione del riconoscimento Unesco alla cultura del tartufo aprirebbe a importanti opportunità in chiave turistica. lo conferma il direttore del centro nazionale studi tartufo e dell’ente turismo langhe, monferrato, roero mauro carbone (prima foto da destra nella pagina successiva).

Le sue parole: «Chi vive nel nostro territorio sa bene che il tartufo è un fenomeno culturale a tutti gli effetti ed è proprio l’aspetto che verrà preso in esame dai commissari dell’Unesco per valutare la candidatura. Ora che il dossier è stato trasmesso al Segretariato di Parigi occorre divulgarlo e farlo conoscere adeguatamente, puntando sul fatto che la nostra italia, tra le altre cose, custodisce un patrimonio culturale legato alla “cerca” e alla “cavatura” del tartufo. Si tratta di un autentico e fascinoso tesoro, costituito da saperi, pratiche e tradizioni. durante i miei viaggi all’estero per la promozione turistica del territorio, più di una volta mi è stato chiesto come mai il tartufo fosse così costoso. Ho sempre risposto che il suo valore è elevato in quanto ciascun tartufo racchiude al suo interno un immenso universo.

Comprarlo significa acquistare un’espressione del territorio, la sua tradizione, le sue pratiche, come quelle della “cerca” e della “cavatura”. Insomma, un mondo infinito di cultura che all’estero non è ancora conosciuto. Più sapremo mettere in evidenza questo aspetto, speriamo anche attraverso il riconoscimento dell’Unesco, e più riusciremo ad accrescere il valore di tutto ciò che sta dietro al tartufo.

L’obiettivo della candidatura è proprio quello di farci riconoscere ciò che abbiamo a disposizione, ovvero un enorme stile culturale che merita di essere condiviso all’esterno dei nostri territori e ben oltre i confini nazionali». Ha accolto di buon grado l’approvazione della proposta di candidatura anche il presidente dell’ente turismo langhe, monferrato, roero luigi barbero (nella foto a lato), il quale sostiene che l’eventuale riconoscimento avrebbe ricadute molto positive in un’area come quella dell’albese, di langhe e roero, «in cui la cultura del tartufo è già radicata e riveste un ruolo chiave in termini economici, occupazionali e turistici, attraverso le varie declinazioni che assume, a partire dalla fiera internazionale del tartufo bianco d’alba e dalle applicazioni nel settore della ristorazione».

In questo senso, l’eventuale riconoscimento attribuito dall’Unesco rafforzerebbe una delle colonne portanti dell’economia di langhe e roero. Prosegue barbero: «Sarebbe anche l’occasione per arricchire l’offerta turistica legata al tartufo, dando il “la”, ad esempio, alla realizzazione dello spazio museale stabile di cui si parla da tempo». Non meno importante l’apporto che il riconoscimento potrebbe assicurare «Nel far ripartire con forza il territorio colpito dall’emergenza coronavirus», conclude Barbero.


  «UN ULTERIORE “PLUS” PER IL NOSTRO TERRITORIO»

La notizia relativa all’approvazione nazionale del dossier che mira a far riconoscere dall’Unesco la “cerca” e la “cavatura” del tartufo come patrimonio mondiale immateriale degno di tutela è stata accolta con favore ad alba.

Nella capitale del tartufo bianco c’è la convinzione che l’eventuale riconoscimento possa costituire un’enorme opportunità di sviluppo. Una prospettiva che rincuora in un periodo di incertezza conseguente al persistere dell’emergenza sanitaria coronavirus. Di questo abbiamo parlato con la presidente dell’ente fiera internazionale del tartufo bianco d’alba, Liliana Allena (nel riquadro a fianco) che a idea ha dichiarato:

«Si tratta davvero di una bellissima notizia, giunta in un momento non facile. La possibilità di candidare il dossier all’Unesco è il frutto di un proficuo lavoro svolto in piena condivisione dalla federazione nazionale delle associazioni tartufai, dall’associazione nazionale “città del tartufo” e dal centro nazionale studi tartufo.

Valuto questo primo parere favorevole, necessario per poter portare avanti la candidatura, con grande soddisfazione: l’eventuale ottenimento del riconoscimento Unesco, pur riguardando l’intero paese, sarebbe per il nostro territorio un ulteriore “plus” che si aggiungerebbe al riconoscimento di patrimonio mondiale dell’umanità attribuito dall’Unesco ai paesaggi terrazzati di langhe, roero e monferrato e al riconoscimento conferito ad alba come città creativa dell’Unesco per la gastronomia. Insomma, il nostro bellissimo puzzle di offerta turistica e cultura acquisirebbe un’altra tessera importantissima che, peraltro, rivestirebbe anche un ruolo chiave nella ripresa che dovremo alimentare dopo questo periodo complicato».