«Quando mi viene chiesto quale sia la parte più difficile dei miei viaggi, rispondo: “Comunicarlo alla mia famiglia, ai miei amici, sul posto di lavoro”. Proprio per questo
mo­tivo l’obiettivo dev’essere alto: per far percepire che si tratta di un’iniziativa seria».
Da come approccia a questa problematica, in apparenza se­con­daria, si intuisce quanto Seba­stiano Audisio sia una persona che non lascia nulla al caso.
D’al­tronde nel giro di vent’anni non si potrebbero mettere insieme svariati viaggi sulle vet­te dell’altro capo del mondo, armato di bici e attrezzatura da montagna, se alla base con ci fosse grande capacità di programmare anche i dettagli più piccoli.
Forse, però, non ce la si farebbe nemmeno se chi parte non fosse un sognatore.
«Una delle mie doti principali non è quella di essere un grande sportivo, anche se ovviamente me la cavo e sono fisicamente preparato, bensì quella di essere un grande sognatore», precisa in­fatti Au­disio. «Lascio che i so­gni parlino per me e poi ci metto le mani, modellandoli con l’e­spe­rienza che mi sono fatto in questi anni. Per questo motivo non è mai stato difficile pensare sempre a un viaggio successivo: anche adesso, sebbene sia tornato da pochissimi mesi, ho in testa almeno dieci possibili nuo­vi obiettivi».
Originario di Demonte, Se­bastiano, insieme a Walter Perlino di Pinerolo, tra giugno e luglio ha portato a termine l’ennesima avventura in terre lontane, tenendo alto il vessillo
del­l’Occitania (cosa che fa ormai da vent’anni, come spieghiamo nel box delle pagine seguenti, ndr) attraversando “ciclo-alpinisticamente” quattro Stati asiatici: Pakistan, Tagikistan, Cina e Afgha­nistan.
«Con Walter», spiega Se­ba­stia­no, «nel 2017 siamo stati in Alaska a tentare la salita del monte Mckinley, il più alto nel continente americano, nonché la montagna più fredda al mondo. Il mio compagno di spedizione era stato lì vent’anni prima, senza riuscire a terminare l’ascesa. Insieme ce l’abbiamo fatta, così nel 2019 abbiamo provato a chiudere i miei conti con il passato. Un po’ di anni prima, infatti, avevo provato la scalata della vetta Muztagata, senza riuscirci. Questa volta con un po’ più di esperienza , “buena suerte”, collaborazione e organizzazione, ci siamo riusciti».
Cosa incide, al di là della preparazione, sulla buona riuscita di queste imprese?
«In queste esperienze di “endurance”, nell’àmbito delle quali si arriva alla scalata dopo un viaggio di avvicinamento impegnativo e lungo più di un mese, l’­obiettivo perseguito dev’essere davvero comune e molto forte, altrimenti si farebbe fatica a superare le magagne e le incomprensioni che emergono spesso anche in un viaggio normale. Nel progetto “Caravan­serai” la cosa fondamentale è stato avere chiaro cosa stessimo facendo e dove stessimo andando. La scalata è l’obiettivo finale, ma per arrivarci pronto ad affrontarla devi costruire i presupposti durante l’avvicinamento, evitando di giungervi logorato fisicamente o psicologicamente».
Quali momenti ricorda con particolare trasporto?
«È stato straordinario arrivare nel parco nazionale di Deosai, u­no dei pochi luoghi verdi di tutto il Pakistan, considerato una riserva naturale dell’orso. Ab­biamo affrontato in bici un at­traversamento lungo 110 chilometri per arrivare nelle valli di Astore, ai piedi del Nanga Par­bat, dove ci siamo sentiti accolti da un popolo di montagna magari rude, ma molto ospitale. In Pakistan, poi, abbiamo percorso una strada appena aperta, letteralmente appesa alle rocce. Tut­to questo prima di arrivare al co­spetto del più imponente dei monti di ghiaccio, quella vetta Muz­tagata che non ero riuscito a raggiungere anni prima. Questa volta in appena nove giorni dal campo magazzino siamo riusciti a raggiungere la vetta, passando dai 3.600 ai 7.540 metri della cima, per poi fare ritorno alla base con una sciata ininterrotta e con condizioni di neve a dir poco strepitose».
Anche l’incontro con la gente è un elemento fondamentale, par di capire…
«Il contatto con le diverse etnie è un aspetto centrale del viaggio. Nel corridoio del Vacan, in Afghanistan, abbiamo fatto incontri con i vachi, una popolazione di montagna che da subito ha condiviso con noi il nulla di quei luoghi, facendoci sentire mai a disagio. Un concetto per me importante e che racconterò nelle serate di presentazione è la differenza tra confine e frontiera. Il Pamir comprende parti di Paesi diversi, ma capisci che il confine lo ha creato il mondo e la gente che si spostava, popolazioni nomadi che vivevano da una parte all’altra della montagna e si muovevano seguendo un fine comune. Le frontiere, invece, sono qualcosa di creato dall’alto, in maniera convenzionale e spesso causa di conflitti».
Come si fa a raccontare un viaggio come questo?
«Per quest’ultimo viaggio ab­biamo creato un “reportage” videofilmato di un’ora e venti
mi­nuti che racchiude la nostra esperienza, facendo parlare so­prattutto le immagini. Chi fosse interessato a organizzare una proiezione, può contattarci tramite la nostra pagina Fa­ce­book “Caravanserai 2019-La tero che gacia le stelo”».

Un’esperienza che dura dal 1999 con viaggi e scalate organizzati in tutto il mondo

La prima avventura del progetto “Caravanserai” risale al 1999, quando Sebastiano Audisio partì con il suo “amico d’infanzia e di sogni” come lo definisce lui stesso (nonché compaesano), Cristian Peirano.
La spedizione consistette nell’attraversamento della Mongolia: 1.200 chilometri nel deserto del Gobi per partecipare al “Naadam”, uno dei festival culturali più importanti, mettendo in relazione De­monte e Ulan Bator, capitale della Mongolia.
Nel 2002 la seconda impresa del progetto di Sebastiano Audisio si concretizzò con “Il cielo del Cile” un “raid” ciclo-sci-alpinistico.
Due anni dopo il percorso seguito fu la via degli inca in mtb, con salita alpinistica al Cerro Llullailaco, il più alto sito archeologico al mondo, ad oltre 6.700 metri di altezza.
Dopo le avventure vissute in compagnia dell’amico Peirano, nel 2005, in solitaria, l’obiettivo fu salire il Pik Lenin (che, con i suoi 7.134 metri, è la seconda cima del Kir­ghizistan) e affrontare la traversata del deserto del Tak­la­makan.
Nel 2008 toccò al Ladakh, la terra degli alti passi himalayani con prima ascesa assoluta, in compagnia di altri alpinisti, del Cong Kundam, con vetta a 7.004 metri.
Gli ultimi due viaggi prima dell’esperienza di pochi mesi fa sono datati 2015, con il viaggio dal Bangladesh al Nepal in mtb percorrendo 2.400 chilometri prima di dedicarsi alla scalata del bellissimo Himlung Himal (7.200 metri) e 2017, in Alaska, con percorso in bici e scalata al monte Denali (6.190 metri).