La donna che guida il mondo della scuola in Granda

“IDEA” a colloquio con Maria Teresa Furci, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale

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Certe persone è difficile immaginarsele al di fuori dal ruolo che ricoprono: ap­paiono quasi del tutto sovrapponibili all’incarico che svolgono. Altre, invece, connotano ciò che fan­no con l’essenza di ciò che sono. In loro si intravede un filo rosso che unisce ogni lo­ro azione, a prescindere dall’àmbito spe­cifico in cui si muovono. L’im­­­press­ione è che a questa se­conda ti­po­logia appartenga Maria Teresa Fur­ci, da poco meno di due anni alla gui­da del­l’Ufficio scolastico territoriale di Cuneo (quello che un tempo era il Provveditore agli studi). Dietro alla dirigente si intravede una donna che non appare diversa: riservata, ma disponibile al confronto, con idee chiare da perseguire e punti fermi da cui partire. Almeno così è parso intuire, man mano che si è sviluppata l’intervista che Maria Teresa Furci ha concesso a “IDEA” nel suo ufficio, luminoso, con vista sulle montagne della Granda.
Dottoressa Furci, che tipo di competenze ha l’Ufficio che dirige nel capoluogo?
«In primo luogo ci occupiamo del personale scolastico e della gestione degli organici: assegniamo alle scuole di ogni ordine e grado il personale docente e Ata in base al numero degli allievi iscritti, dei plessi e degli indirizzi di studio. Paral­lela­mente gestiamo le procedure amministrative che riguardano l’attività delle scuole, gli esami di Stato, la gestione della carriera del personale, il reclutamento, la mobilità, i pensionamenti, il contenzioso».
Quale fotografia del mondo della scuola cuneese è possibile scattare dalla sua posizione?
«Abbiamo da poco concluso una conferenza dei servizi in cui sono stati evidenziati i dati relativi alle iscrizioni alle classi prime per il nuovo anno scolastico. Si è lavorato molto, con le istituzioni e le associazioni di categoria, per impostare un lavoro di orientamento efficace, evitando che gli alunni si iscrivano agli istituti di scuola superiore senza le necessarie informazioni, con il rischio di alimentare la dispersione scolastica, o perché non sono davvero interessati al percorso di studi intrapreso o perché non hanno le competenze necessarie per mantenere il livello di impegno richiesto. Quest’anno abbiamo notato, in controtendenza rispetto ai dati nazionali e regionali, come gli istituti professionali e tecnici abbiano registrato un aumento di iscrizioni rispetto ai licei. Lo considero un buon segnale, perché significa che il lavoro di orientamento avviato da qualche anno a questa parte sta dando i propri frutti e le famiglie e i ragazzi hanno capito che, per poter continuare a vivere nel luogo in cui si è nati e che in prevalenza è il luogo in cui si vorrebbe vivere, bisogna sviluppare professionalità che qui possono trovare realizzazione nel lavoro. Andare fuori regione o all’estero deve essere una scelta, non un obbligo, va contrastata quindi la condizione a causa della quale si è costretti ad andarsene perché il luogo in cui si è nati non offre opportunità lavorative adeguate».
Rispetto agli organici assegnati alle varie scuole com’è il quadro provinciale?
«L’anno scorso metà delle scuole della provincia di Cuneo non aveva un dirigente titolare e in molte scuole ancora oggi non c’è un direttore generale dei servizi amministrativi. Quest’an­no, fortunatamente, sono stati assunti in ruolo i dirigenti scolastici che hanno superato il concorso lo scorso anno e anche nella nostra provincia sono quasi azzerate le reggenze. Per la carenza dei direttori generali dei servizi amministrativi, invece, è in fase di conclusione il concorso e quindi si spera di poter avere direttori in carica per il prossimo anno scolastico. Per quanto riguarda la contingenza di personale docente e Ata, questo viene stabilito dal Ministero dell’istruzione che lo assegna agli Uffici scolastici regionali, i quali lo suddividono tra le province. Il territorio della provincia di Cuneo è molto vasto e variegato nella composizione della rete scolastica. La maggiore difficoltà è quella di garantire l’organico necessario al mantenimento dei plessi e delle pluriclassi nei comuni montani e marginali che usufruiscono delle deroghe al numero minimo di bambini previsti per classe. Una grande difficoltà da affrontare ogni anno è quella del reclutamento del personale supplente, che in questa provincia sono diverse migliaia. Si spera di avere presto il contingente per le assunzioni in ruolo».
La carenza di personale è la problematica più grande a cui dover far fronte in questo momento?
«In particolare la carenza di personale amministrativo, perché il dirigente scolastico, con l’autonomia della scuola, è diventato l’unico responsabile della gestione organizzativa e amministrativa e non avere il supporto del direttore amministrativo e di una segreteria con assistenti adeguatamente formati rende il compito molto difficoltoso, tanto più che la complessità delle attività che la scuola deve svolgere, di anno in anno si infittisce di nuovi compiti».
Guardando il suo “curriculum” non si sa se è più sorprendente il percorso formativo (con due lauree e diversi diplomi) o familiare (con quattro figli).
«Il percorso scolastico è stato articolato secondo le opportunità che ho colto durante la mia crescita. Sono nata all’estero da genitori emigranti, poi siamo ritornati nel paese dei miei genitori in Calabria e da lì la spinta a voler progredire e migliorare in base alle risorse che il territorio mi offriva, la voglia di trovare un lavoro adeguato alle mie aspirazioni mi hanno portato di volta in volta ad accrescere le mie competenze, il mio livello di preparazione. Il mio percorso di vita e di studio non è stato lineare, ho svolto sempre contemporaneamente attività di studio e di lavoro mentre formavo la mia famiglia».
Non avrà seguito l’ordine canonico, però è riuscita a stare dietro ad aspirazioni molto diverse. Come ci si riesce?
«Alla base c’è sicuramente l’educazione ricevuta dalla mia famiglia, che ha sempre lavorato per migliorare la propria condizione e ha educato me e le mie sorelle al valore del lavoro e della competenza, crescendoci con estrema dignità, senza limitare i nostri orizzonti. Personal­men­te, poi, ho sempre cercato il cambiamento e l’evoluzione, per arricchirmi di nuove competenze. Il messaggio che mi piace trasmettere e che ho sempre cercato di far arrivare ai miei figli, e ai miei allievi quando ero insegnante, è di non ritenersi mai arrivati, ma, al contrario, di trovare sempre lo stimolo per guardare oltre l’ostacolo e dire “Posso farcela, posso cambiare ciò che non mi piace”».
Essere donna non è stato uno svantaggio, oppure ha ri­chiesto sforzi aggiuntivi?
«Da una parte ha contato, ancora una volta, la formazione in famiglia. Sono stata educata a trovare il mio posto nel mondo, come donna, senza dover di­pendere da nes­sun altro. Dall’altra è ovvio che, per poter raggiungere gli o­biettivi perseguiti, ho avuto bisogno di un contesto familiare di supporto. Nel momento in cui studiavo, lavoravo e avevo i figli piccoli, se non ci fossero stati mia ma­dre, mio marito, le mie sorelle, le amiche… certo avrei rinunciato a compiere alcune scelte. An­che a livello di relazione di coppia, sono stata molto fortunata».
Ha trovato un uomo che sa stare due passi indietro?
«Ho trovato un uomo con cui camminare insieme. A volte va più avanti uno e l’altro rimane un po’ indietro, ma le posizioni si avvicendano secondo le ne­cessità. Ci siamo sposati giovanissimi e molti passi di crescita li abbiamo fatti insieme, sia come coppia, sia come genitori. È una questione di equilibrio tra le parti, come nella musica».
In che senso?
«Nella partitura la melodia non sta mai su una riga soltanto. Il te­ma principale passa da una voce all’altra, facendo emergere a volte uno strumento, a volte l’altro, poi nell’insieme si co­struisce il ritmo e si dà vita al flusso ar­monico. Questo vale in ogni re­lazione sociale, anche nel lavoro».
La Granda è un posto in cui le dispiacerebbe rimanere a lungo?
«Mi trovo molto a mio agio in questo territorio, si lavora bene e le relazioni sono semplici. L’u­ni­ca cosa che a volte mi pesa è il viaggio in treno, perché abito a To­rino, ma poi anche il treno diventa spesso un luogo di lavoro dove con il portatile o lo smartphone si dà inizio o si porta a conclusione l’attività della giornata».
E dalla stazione alla sede del Provveditorato?
«In bicicletta».
Bici elettrica o normale?
«Normale, così per arrivare a lavoro mi faccio un po’ una pe­dalata salutare».
Quindi è anche una sportiva?
«Per nulla, diciamo piuttosto che mi sono imposta di utilizzare la bici per ritagliarmi almeno dieci minuti di attività fisica quotidiana».
Ritagliare spazi per il tempo libero pare non facile, occorre essere disciplinati…
«E qui entra in gioco l’educazione di mio padre…».
Insomma, mi pare di capire che per fare strada bisogna avere buoni genitori…
«Soprattutto. I miei genitori, che vivono tuttora in Calabria, pur non avendo livelli di istruzione altissima non si sono mai fermati. Hanno sempre cercato di migliorarsi, di progredire studiando. Io sono cresciuta vedendo in loro l’esempio di come si sono comportati nei confronti della vita e per me è stato più facile imparare dai loro insegnamenti».
Da madre e dirigente, se dovesse dare un consiglio ai genitori?
«Di dare il buon esempio e non limitarsi alle belle parole. Le parole coronano l’esempio, ma non possono sostituirlo».
Per finire una curiosità frivola, che mi accompagna da inizio intervista. Anche lei, come
mi­lioni di italiani, fa parte di chat Whatsapp dei genitori in cui (la maggior parte delle volte) ci si lamenta di tutto e di più?
«Per i primi tre figli quando frequentavano la scuola dell’obbligo c’erano solo gli sms. Per l’ultima figlia, invece, siamo in piena epoca Whatsapp. E sì, faccio parte di una chat di genitori, ma non si sono mai verificate situazioni di lamentazioni eccessive… Forse hanno una chat parallela senza di me (ride, ndr)».

«Cuneo? Una dimensione che mi piace»

Dottoressa Furci, quale bilancio complessivo può trarre da questi primi due anni di lavoro a Cuneo?
«Non conoscevo Cuneo e il territorio della sua provincia. Mi sono trasferita a Torino nel 2012, in seguito al concorso per dirigente scolastico, direttamente dalla Calabria, quindi mi sono ambientata e inserita in quel contesto cittadino per poi trasferirmi lavorativamente nel capoluogo della Granda, in una realtà diversa. Cuneo e i suoi panorami mi hanno da subito affascinata: uscire dalla città e attraversare la pianura arrivando in treno all’alba o ripartire al tramonto alla vista del Monviso regala emozioni uniche. Per quanto riguarda la realtà scolastica della provincia di Cuneo, essa è molto più articolata e presenta esigenze diverse rispetto a quella di Torino, più popolata e compressa. In Granda ci sono tanti istituti comprensivi con molti plessi sparsi nei vari comuni e anche l’offerta formativa degli istituti di secondo grado è snodata tra i vari centri scolastici delle “Sette sorelle”. Nonostante ciò, ho notato che qui si lavora con meno tensione rispetto alla città, anche perché i rapporti tra Amministrazione scolastica ed enti locali sono più semplici e immediati, il dialogo è diretto e si possono cercare soluzioni ai problemi con sollecitudine, senza troppi impedimenti logistici o burocratici. Inoltre la proficua collaborazione con fondazioni e associazioni del territorio per lo sviluppo di attività utili alle scuole è sempre una grande risorsa per le comunità scolastiche».

Spesso non è così facile prendere parte ai bandi europei per le scuole

Spesso l’Italia è accusata di sfruttare poco e male i ban­di europei. Anche in àmbito scolastico si presenta questa problematica?
«Come Ufficio scolastico provinciale noi promuoviamo sem­pre la partecipazione delle scuole i progetti europei, ma poi sono le singole scuole che, nel rispetto della loro autonomia, decidono di aderire o meno. L’autonomia scolastica, infatti, attiva progetti sulla base delle scelte formative e didattiche del collegio docenti e secondo le linee di indirizzo del Consiglio d’Istituto. Il vero problema, che spesso condiziona le scuole, è che i progetti europei a volte risultano troppo farraginosi nella procedura e ri­chiedono competenze progettuali e di rendicontazione che spesso le scuole non han­no, per carenza di personale e in particolare di personale formato in modo adeguato per questo tipo di progettazione. Sa­rebbe rivoluzionario se gli enti locali, i Comuni e le Province, riuscissero a supportare le scuole nella partecipazione ai bandi europei con le loro strutture. Dovendo gestire una com­plessità qual è la realtà della scuola, in carenza di personale e di strutture adeguate si fa quello che si può, scegliendo di seguire priorità ed emergenze».