Susanna, la braidese “innamorata” dell’Africa e del Togo: “Con un sorriso, potrei dire che è questa strada che ha scelto me!”

"Ogni anno creo qualche nuovo evento di raccolta fondi, spesso anche a Bra. Non sono mai stata da vita mondana, quindi conosco poche persone. Ma con il tempo, la gente è venuta a sapere di me e tanti mi portano vestiti e materiale scolastico per i bambini in Togo. Di supporto ne ho avuto e spero di continuare ad averlo"

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Susanna Salerno in Togo (Africa), con "i suoi ragazzi"

Questa è la (bellissima e incredibile ndr) storia di Susanna Salerno (“Susy”) braidese di nascita che ora vive in Togo (Africa). L’abbiamo raggiunta telefonicamente per una lunga e piacevole chiacchierata.

Qual’è il progetto di cui ti occupi in Togo, in Africa?

Tra il 2013 ed il 2015 ho fatto costruire una casa d accoglienza per bambini orfani e disagiati in questo villaggio di circa 600/700 abitanti che si chiama Kuma Tsame-Totsi, in Togo. Oggi vivo insieme a 15 bambini che variano tra i 2 ed i 14 anni d età. Durante il giorno e qualche volta la notte (quando capita che ho bisogno di una sera libera o quando mi ammalo di malaria, ciò capita molto spesso) sono in compagnia del personale locale che mi aiuta a mandare avanti la casa e nell’educazione dei bambini.
Il mio progetto non si basa solo sull’educazione, ma anche sulla auto-sostenibilità ed il servizio sociale al di fuori della struttura. Ho in mente di rendere autonomo questo centro d’accoglienza; energia rinnovabile (l’installazione dei pannelli solari è stata fatta qualche giorno prima del mio rientro in Italia, due mesi fa), agricoltura, allevamento e rimboschimento. Questo non solo per diminuire la necessità del sostegno economico estero di cui oggi, senza quello, non esisterebbe nulla, ma anche per dare esempio alle nuove generazioni, e non, che l’auto sostentamento è possibile. Per quanto riguarda il sostegno all’esterno è difficile gestirlo, ci sono molte persone che arrivano in qualsiasi ora del giorno a chiedere aiuto. Madri con bambini malati o che non possono frequentare la scuola, donne incinte senza sostegno, anziani molto malati e senza possibilità di andare in ospedale. Voglio precisare una cosa su questo primo punto. Molti mi chiedono perché non prendo più bambini, quando io dico sempre che il mio massimo sarà di 20. Il fatto è che dare un letto e 3 pasti al giorno è facile un po’ per chiunque e secondo me non cambia radicalmente le cose. Da quando ho aperto le porte di questo centro (marzo 2015 con brevi pause in Italia, solitamente una volta l’anno) mi occupo di ognuno di questi bambini come se fossi la loro mamma, la loro sorella o semplicemente la loro tata. Abbiamo lavorato insieme per far crescere i primi ortaggi in giardino e ogni sera gli do il bacio della buona notte ad ognuno di loro. La differenza tra La Maison Sans Frontieres e tante altre strutture d’accoglienza in Togo sta nel contatto emozionale che si ha con i bambini ospiti del centro. Sono in pochi, quindi io, i volontari e il personale abbiamo la possibilità di dedicare loro l’affetto ed il supporto che altrimenti, fossero in 150, non potrebbero ricevere“.

Perchè hai deciso di intraprendere questa strada?

Con un sorriso potrei dire che è questa strada che ha scelto me, perché con il passare degli anni le mie motivazioni sono cambiate e nonostante le mille difficoltà non ho mai nemmeno pensato chi me lo ha fatto fare, nemmeno quando l’ennesima malaria mi aveva portata in ospedale. Quindi, ormai, penso che va proprio al di là di una scelta personale. Quando ci sono di mezzo degli altri esseri umani, ci si basa anche sulle loro scelte e laggiù purtroppo non ne hanno molte. Nel 2012 sono andata in Togo per la prima volta a fare volontariato. Aiutavo la maestra dell’asilo del villaggio che da sola si occupava di 40 bambini. Lì sono diventata tata in Africa per la prima volta e mi era piaciuto tanto.
Il giorno di Natale dello stesso anno ero triste perché lontana dalla mia famiglia, andai a fare una passeggiata con i bambini e la maestra. Arrivammo vicino ad un piccolo fiume, in mezzo al verde e i bambini giocavano nell’acqua. Davanti a noi c’era un terreno molto bello, in una bella posizione, la vista era spettacolare. Insomma mi aveva ispirata e fu in quel preciso momento che il seme di una casa in cui ospitare i bambini germogliò. Ma non ci pensai seriamente, insomma io avevo comunque una vita altrove, avevo 23 anni e altro a cui pensare. Ma, poche settimane prima del ritorno in Italia un bimbo dell’asilo rimase orfano di padre. Andai a fare le condoglianze alla famiglia e scoprii che lui, insieme ai suoi 3 fratelli, erano rimasti soli con la nonna paterna: un anziana signora, malata e molto stanca. Ma come farà ad occuparsi di loro? Nemmeno riesce a camminare! Pensavo a questo mentre guardavo la scena dall’entrata di quella capanna con solo 3 o 4 stuoie a terra su cui dormire. Ecco, lì decisi che non era più questione di fare volontariato, bell’esperienza, ciao e arrivederci. Non era sufficiente e non lo sarebbe stato nemmeno a loro. Quindi decisi di comprare quel bel terreno e costruire una casa in cui i bambini che vivevano in situazioni così drammatiche, potessero ritrovare una famiglia. Tutto questo è stato possibile grazie all’aiuto di tante persone che hanno creduto in me! Col tempo ho capito che in realtà il mio aiuto non sarà mai sufficiente e che il mio progetto è solo una piccola goccia in mezzo a un incendio. Ma faccio del mio meglio e ci credo sempre come quel primo giorno in cui l’ho deciso. Non farà la differenza nel mondo, ma non è mai stato questo il mio obbiettivo, io sogno tanto ma sogno in piccolo e se gli ospiti del centro riusciranno a vivere ed essere felici della propria vita io ne sarò molto orgogliosa. Il Nobel per la pace lo lascio ad altri.
Certo, la mia idea era di formare un equipe e tornare in Europa per continuare a lavorare e rimanere a contatto con amici e parenti. Ma è difficile gestire un progetto del genere da lontano, quando ancora oggi devo dividermi in molteplici ruoli. Ma con il tempo cambierà anche questo e per ora va bene così“.

I tuoi prossimi step?

Prossimi obbiettivi ce ne sono tanti sia a livello personale che progettuale. Andrò avanti con l’auto-sostenibilità del centro. Dovrò migliorare il pollaio perché in questa maniera non rende come vorrei. Mi piacerebbe inserire delle quaglie perché a quanto pare sia la carne che le uova sono molto ricche e questo è ottimo tenendo conto del poco vario menù di cui disponiamo. Pochi mesi fa, ho acquistato altri appezzamenti di terra in modo da produrre più mais, provare a coltivare il riso, aumentare la coltivazione dei fagioli all’occhio e miglio.
Mi piacerebbe incominciare i corsi di alfabetizzazione per la gente del villaggio che ha difficoltà nella lettura e dei corsi di ripetizione per i bambini del villaggio con più difficoltà d’apprendimento. Ovviamente, come ogni anno, pianteremo tanti nuovi alberi in tutto il villaggio! Vorrei fare più attività con i bambini del centro, il teatro per esempio! A livello personale vorrei ritornare più spesso in Italia, per potermi riposare dal clima molte volte ostile e dalla malaria che mi butta sempre più giù. Per chi temesse dico che non è contagiosa!“.

E il tuo legame con Bra?

Il mio principale legame con Bra è la famiglia, insieme ai pochi amici che mi sono rimasti nel mio comune di nascita. Molti sono in altre zone d’Italia e all’estero ed è per questo motivo che spesso sono fuori Bra, quando torno. Ogni anno creo qualche nuovo evento di raccolta fondi, spesso anche a Bra. Non sono mai stata da vita mondana, quindi conosco poche persone. Ma con il tempo, la gente è venuta a sapere di me e tanti mi portano vestiti e materiale scolastico per i bambini in Togo. Di supporto ne ho avuto e spero di continuare ad averlo. Quel che mi piacerebbe molto è trovare una scuola elementare con cui fare una sorta di gemellaggio. Scambio di lettere, disegni, sarebbe bello!“.