èuna vita fra carriera aziendale e istituzioni, quella del to­rinese Enzo Ghi­go: dirigente d’azienda, animatore degli esordi di Forza Italia, presidente di Regione e senatore della Repubblica, con lo sguardo sempre teso verso lo scenario internazionale, ma le radici ben piantate in quel Piemonte che è la sua regione.
Lontano dalla politica dal 2013, è tornato agli onori della cronaca per la nomina a presidente del Museo nazionale del cinema di Torino, a seguito delle travagliate dimissioni di Sergio Toffetti.
Questa prestigiosa struttura ha da poco compiuto vent’anni, nei quali ha registrato oltre 10 milioni di visitatori: la celebre rivista d’oltreoceano “Forbes” l’ha inserita fra le sette meraviglie museali della città della Mo­le, tanto per la sua “location”, l’iconica Mole
Antonel­liana, quanto per l’unicità espositiva. Il museo, inoltre, organizza manifestazioni di rilevanza internazionale come il “To­rino film festival”, “Ci­nemAmbiente” e “Lovers”, imponendosi come una delle realtà più attive dello stivale.
Il compito di Ghigo non è semplice: 14 milioni di bilancio, ottanta dipendenti e un recente passato caratterizzato da instabilità e cambi al vertice
All’orizzonte c’è una sfida da cogliere: nel 2020 Torino sarà “città del cinema”.
Per comprendere meglio il fu­turo del museo abbiamo intervistato il neopresidente Enzo Ghigo per i lettori di “IDEA”.
Lei è arrivato al Museo del cinema dopo un periodo di turbolenze e instabilità: le dimissioni di Sergio Toffetti, la nomina del direttore, Domenico De Gaetano, le voci su un cambio ai vertici del “Torino film festival”… Che clima l’ha accolta?
«Ho trovato una struttura piena di competenza e professionalità, ma in fase un po’ depressiva. Quando mancano per tanto tempo i vertici, credo sia normale che l’ambiente risponda in questo modo. Spesso si cerca di sopperire alla mancanza di linee guida forti e stabili con iniziative personali e isolate che, tuttavia, non sempre rispondono agli obiettivi generali. Un presidente e un direttore servono proprio a questo: ad assegnare alla struttura obiettivi precisi e il più possibile concreti. In questa fase il nostro primo compito è motivare i dipendenti, da­re nuova energia e conquistarne la fiducia, dimostrando di co­stituire una guida sicura e stabile. Il valore professionale dei no­stri lavoratori è alto, sono sicuro che con il giusto approccio sapranno rispondere alle sollecitazioni. Il Comitato di gestione (che comprende rappresentati dei soci fondatori, nonché di Regione, Comune, Compagnia di San Paolo, fondazione “Crt”, associazione “Museo nazionale del cinema” e Gtt) mi ha accolto con calore e voglia di fare: a organico com­­pleto, abbiamo subito do­vuto affrontare le prime sfide, come quelle relative al “Torino film festival”».
A proposito del “Torino film festival”, che futuro si prospetta per una delle “kermesse”
ci­nematografiche più interessanti del panorama nazionale?
«Abbiamo deciso di non rinnovare l’incarico a Emanuela Mar­tini, che continua a collaborare con noi, ma che non sarà direttrice della prossima edizione del festival. Alla vigilia di Natale abbiamo dato l’incarico a Stefano Fran­cia (si ve­da il box a destra, ndr). Il 2020 è un anno piuttosto importante: Torino sarà “città del cinema” e vogliamo realizzare un fe­stival all’altezza, che dialoghi con gli altri eventi sul territorio e che abbia una certa risonanza. Devo, però, correggere il tiro rispetto a certe speculazioni circolate sui “media”: quando si parla di cambiamento, non vuol dire che stravolgeremo tutto. Il “target” del no­stro festival deve rimanere lo stesso: continueremo a lanciare talenti, proporre autori che non si vedono altrove e premiare opere di valore. Non vogliamo fare concorrenza al festival di Venezia o a quello di Roma: il nostro approccio è personale e negli anni è entrato nel cuore dei cinefili che ci seguono proprio per questo carattere specifico. Nessuno stravolgimento, dunque, ma è necessario dare a livello nazionale più risalto al Tff, soprattutto pensando a “To­rino 2020-Città del cinema”, magari invitando qualche “star” e aggiungendo, perché no?, una dimensione più “glamour”. C’è anche un altro a­spetto che vorremmo cominciare ad affrontare, un intero mondo che fino a ora abbiamo solo sfiorato: quello delle serie televisive. I grandi registi e gli attori più acclamati vanno sia sul grande sia sul piccolo schermo; le piattaforme come “Net­flix” producono e distribuiscono entrambi i contenuti; manifestazioni come i “Grammy” e i “Golden globes” premiano i prodotti migliori dell’industria seriale. Rimanendo noi stessi, senza snaturarci, dobbiamo pro­vare a intercettare queste nuove sensibilità».
In questo ultimo anno la sensibilità intorno ai temi dell’inquinamento e del riscaldamento globale è cresciuta esponenzialmente: avete qualche progetto in particolare riguardo il festival “CinemAmbiente”?
«Ho in programma un incontro con il direttore di “CinemAm­bien­te”, Gaetano Capizzi: l’occasione giusta per dare maggior sostegno e visibilità all’evento. Il festival ha un indubbio merito: parla di questi temi da oltre vent’anni! Il cinema offre a tutti l’opportunità per conoscere le problematiche legate all’ambiente e dal mo­men­to che c’è ancora chi pervicacemente ne­ga i pericoli che stiamo correndo, dobbiamo fa­re di tutto per veicolare al me­glio i contenuti di questa iniziativa. Bisogna puntare su un “marketing” e su una comunicazione più efficaci e ad ampio raggio, affinché il messaggio arrivi a tutti e in maniera potente».
La sua esperienza politica fa presupporre che lavorerà a stretto contatto con la Regione, il Comune e gli altri enti sul territorio. Come si sta muovendo a questo proposito?
«Spero che la collaborazione con l’Amministrazione pubblica sia proficua: è un aspetto fondamentale della posizione istituzionale che sono chiamato a ricoprire al Museo del cinema. Sono conscio del fatto che il Comune abbia alcune difficoltà finanziarie, ma è necessario fare investimenti im­portanti affinché “Torino 2020-Città del cinema” pos­sa
di­ven­tare un volano per il territorio. E con territorio non intendo solo quel­lo mu­nicipale: la Mole è anche il simbolo della regione e dobbiamo dunque cercare l’integrazione con il Museo egizio, con la Reggia di Venaria e con tutti gli al­tri enti di un certo spessore, come per esempio la Fiera internazionale del tartufo bianco d’Alba. Bi­sogna mettere in­sie­me le eccellenze che già ab­biamo: ne gioverà la popolazione, ma anche il turismo. È una strada che già il mio predecessore ha iniziato a battere: abbiamo collaborato con il museo della Juventus, un vero e proprio “brand” internazionale che ha fatto la storia del­la città e di tutto il Paese. Voglio continuare su questa strada: può sembrare una frase fatta, ma è fondamentale fare rete. Biso­gna tuttavia partire dalle cose più piccole, da noi: il museo ha molti materiali ancora non e­spo­sti, ha diversi problemi logistici e pratici. Da un lato allargarsi ed esplorare, ma dall’altro consolidare e razionalizzare: cercherò di mettere tutta la mia esperienza e professionalità al servizio di questi obiettivi».