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Romanzo d’amore e di vita nella Cuba di sessant’anni fa

La trama ideata da Riccardo Cascone è ambientata negli anni conclusivi della rivoluzione di Fidel Castro

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Il 1957 e il 1958 (il dittatore Fulgencio Batista fuggì da L’Avana il primo gennaio 1959 e sette giorni dopo Fidel Castro, Huber Matos e Camilo Cien­fuegos entrarono vittoriosi nel­la capitale, foto sopra) sono stati gli ultimi due anni della rivoluzione cu­bana e cambiarono il volto del­lo Stato insulare caraibico, re­galando l’immortalità nella storia a personalità come Ca­stro, il “lìder maximo”, ed Ernesto “Che” Guevara.
Questa pagina epica, intrisa di romanticismo e di drammaticità, è lo sfondo del romanzo di Ric­cardo Cascone “I tre volti di Cuba”, il cui sottotitolo, “L’a­more, la rivoluzione e la musica”, fa da apripista per condurre i lettori lungo una “romantica, surreale e travolgente storia d’amore”. “IDEA” ha intervistato l’autore a pochi giorni dall’uscita ufficiale del libro.
Come nasce l’idea di questo ro­manzo e perché ha scelto di ambientarlo a Cuba?
«Chiunque scriva, scrive sempre per due ragioni: per se stesso, ma spinto da qualcosa di forte che non riesce a trattenere. Nel romanzo do una definizione di scrittura che mi piace citare: “Scrivere è uno starnuto dell’intelletto, se lo si trattiene ci si fa solo del male e, dopo averlo fatto, si torna più forti di prima”. Un romanzo, e soprattutto un romanzo d’amore
co­me in questo caso, nasce sempre da qualcosa di personale: il mio è nato da una storia d’amore finita e dal fatto che dovessi trovarle un contesto. Ero stato a Cuba e la mia storia d’amore era in qualche modo legata a quella terra, quindi ho pensato di ambientare lì il libro e ho scelto, in particolare, gli anni 1957 e 1958».
Quindi tra queste pagine vi è un vissuto personale molto forte?
«è sempre così, altrimenti un romanzo cade nella banalità. Un amico, conoscendo la mia vicenda personale, dopo aver letto il romanzo disse che gli era piaciuto. Commentò: “Qui c’è tantissimo, anche il dolore: i ro­manzi, come il blues, nascono dalla sofferenza”. Sogno che anche oggi ci sia una rivoluzione sociale e culturale e che finiscano il finto buonismo e l’ ipocrisia che governano completamente il nostro tempo, le no­stre menti e le nostre genti».
Di che cosa racconta “I tre volti di Cuba”?
«Il titolo originale era “Il canto della civetta”, perché nel libro sono inserite alcune scene di morte preannunciate dal canto della civetta. Nel momento stesso in cui ho scelto quel titolo mi sono reso conto che nessuno avrebbe potuto immaginare di che cosa parlasse in realtà il romanzo: quasi tutti, in modo automatico, lo associavano al libro di Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta” e mi chiedevano se mi occupassi di mafia. A quel punto, parlando con il mio editore, abbiamo deciso di cambiare il titolo e scegliere “I tre volti di Cuba” perché la parola Cuba è già essa stessa un “brand” e poi perché nel sottotitolo sono spiegati i tre argomenti del libro: la musica, l’amore e la rivoluzione».
Avete in calendario alcune presentazioni del libro?
«Le stiamo organizzando. Ne organizzeremo probabilmente una a Cuneo, una a Milano, una a Roma e poi numerose altre. Nei giorni scorsi sono stato al Salone del libro ed è stata una bella esperienza. Oggi scrivere è molto più difficile: tutti scrivono su qualsiasi argomento e chiunque può farsi pubblicare a proprie spese. Quest’anno sono stati pubblicati 66 mila libri. La prima presentazione, fatta a Torino a fine aprile, è stata un successo perché abbiamo venduto tanti libri, ma soprattutto c’era molta gente».
Mi ha detto all’inizio dell’intervista che si sta già dedicando ad un altro libro…
«Penso di poterle anticipare che parlerà di scandali “vaticani”: è contestualizzato tra gli anni Cinquanta e gli anni 2000 e parla del percorso spirituale di un bambino che si avvicina alla Chiesa e viene coinvolto in una serie di scandali. Anche qui troveranno spazio un aspetto profondamente intimo e uno più storico. Una mia caratteristica è di cercare ogni volta di cambiare il mio stile letterario: non perché non ne abbia uno, ma semplicemente perché ritengo che la letteratura sia una sorta di palestra per allenare lo spirito. Ad esempio per “I tre volti di Cuba” ho scelto di usare l’imperfetto, che è una specie di “arma del diavolo” per uno scrittore, perché se non è usato benissimo è uno strumento che non coinvolge mai il lettore. Il libro che sto scrivendo, invece, è tutto in prima persona e al tempo presente. Cerco, inoltre, di fare sempre un uso sapiente e intelligente delle metafore, per le quali qualcuno mi dice che so­no portato: ne “I tre volti di Cuba” l’uso della metafora trascina il lettore all’interno del romanzo».
Ma che cos’è per lei la scrittura?
«Se la sua richiesta fosse di esprimerglielo in una parola sola, direi “liberazione”. Se,
in­vece, mi chiedesse di argomentarlo direi che è la voglia di raccontare qualcosa che abbiamo dentro. Un libro deve avere quat­tro ingredienti fondamentali: una bella storia che dà un piano di racconto, una contestualizzazione, la perfezione dei personaggi, che devono es­sere distinti, ben chia­­ri e permettere al lettore di sentirvisi incarnato e, infine, qualcosa che lo leghi. Io ho u­sato come legame la musica trovando una frase che lo rappresentasse: “La musica è il dono più grande che Dio abbia fatto agli uomini per farsi perdonare gli errori fatti nel crearci: ballare è il no­stro modo per fargli sapere che lo abbiamo perdonato”».

BaNNER
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