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Un po’ cantautore un po’ cabaret tanto spudorato

“Ruggero de ‘I timidi’” si spinge dove (quasi) nessuno osa, toccando qualsiasi tematica legata al sesso con scanzonata leggerezza

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In “Padre e figlio” racconta di un genitore che, scoperto dal proprio pargolo a sgattaiolare nottetempo fuori di casa, gli confessa di es­sere in procinto di andare a trans, genere che l’erede non conosce e che il genitore spiega riassumendo nella definizione “donna dal clitoride ingombrante”; omaggia Francesco De Gregori e la sua “Rimmel”, con un inequivocabile “Rimming”, mentre il tema della sua prima canzone è lo “squirting”.
In­somma, più che canzoni quelle di “Ruggero de ‘I timidi’” sembrano categorie di
“You­porn”: l’effetto, però è di vero spasso, tanto che dovunque vada ad accoglierlo c’è un nutrito gruppo di “fan”, pronti a scatenarsi al ritmo di ballate d’altri tempi accompagnate da testi che “Spo­tify” non fa fatica a ca­talogare come “explicit” in no­ve casi su dieci. Anche a Fos­sano, al cinema-teatro “I portici”, “Ruggero de ‘I timidi’” si è esibito due volte negli ultimi due anni, strappando caterve di risate, mai grevi, e lasciando l’impressione che si possa sdrammatizzare ciò che riguarda il sesso trattandolo in manera spudorata, ma non volgare.
Impressione confermata an­che chiacchierando con lui: Andrea Sambucco, “alias” Ruggero.
Come è nato il personaggio di Ruggero e, soprattutto, da che spunto è partito?
«È partito tutto dalla canzone “Timidamente io” che definirei il “big bang” di Ruggero, o meglio, il “big squirt”. Da lì l’esigenza di cercare qualcuno che potesse cantare quella canzone. Non potevo certo cantarla io come Andrea! Ed è nato Ruggero, timido certo, ma molto spavaldo quando si tratta di cantare determinate tematiche. Inizialmente spaziavamo attorno al genere liscio e anni Sessanta con tematiche prevalentemente amorose. Poi ci siamo detti (io e Rug­ge­ro): “Ba­sta! Dobbiamo crescere! Cam­biamo generi!”».
Esiste un “modus operandi” nella composizione delle sue can­zoni? Parte da un’immagine (co­me potrebbe essere per e­sempio in “Metti­mi il cuscino in faccia ma amami”) e poi
co­strui­­sce il resto o da un’idea (ti­po padre e figlio) e poi costruisce il resto o da una musica?
«È un “mix” delle due cose. A volte parto dalla musica pensando: “Vorrei fare una canzone con quello stile lì” e in quel caso lo spunto viene dalle mie conoscenze, a volte, invece, casualmente ascoltando la ra­dio, “Spotify” o “Youtube”. Oppure parto dal testo pensando: “Ehi, questo è un tema che potrei affrontare per la mia prossima canzone”. Insomma non c’è una regola precisa in fase di creazione. Poi, invece, quando si tratta di lavorarci sopra una volta sviluppato lo spunto, il lavoro è molto più lento e metodico».
Lei ha già esplorato con acume e goliardia gran parte delle questioni che ruotano intorno al sesso. C’è qualche argomento che considera tabù o che la mette in imbarazzo?
«Beh, se mi mette in imbarazzo significa che è l’argomento giusto! Anche perché nella vita privata sono abbastanza all’opposto di quello che racconto. Per fortuna viviamo in una società in cui, a causa della piaga del “politically correct”, la linea di ciò che sulla carta è tabù si è abbassata notevolmente. Ai tempi degli “Skiantos” o degli “Squallor” le tematiche erano ancora più esplicite».
C’è un tema su cui vorrebbe scrivere una canzone, ma non ha ancora trovato la chiave giusta?
«Ci sto lavorando ma non posso “spoilerare”. I competitori sono sempre in agguato!».
In “Vibratore” cita parodiando “Il pescatore” di un “mostro sa­cro” come Fabrizio De André. Pochi hanno osato tanto prima di lei. Lo possiamo considerare un o­maggio “sui generis”? (ci sono anche riferimenti alla Nan­nini in “Mano amante mia”, ovviamente a Fabio Concato in “Fiore di scoglio” e tanti altri, Battiato, per esempio, ndr).
«È un omaggio che nessuno mi ha chiesto! (ride, ndr). Mi è piaciuto appropriarmi di canzoni e repertori cantautoriali molto alti perché, secondo me, si crea un contrasto incredibile con i te­sti cantati. È un insieme di sfron­tatezza, poesia e imbarazzo. Ma, soprattutto, spero traspaia la dimostrazione di affetto per un modo di fare musica che
a­desso sta un po’ scomparendo».
Ma Ruggero è un cantante che fa ridere oppure un comico che canta?
«È un cantante che crea emozioni. Poi, se queste emozioni ti portano a ridere, buon per te!».
Qual è la sua canzone a cui è più legato?
«Un cantante bravo direb­be: “Quella che devo ancora scrivere”, oppure anche: “Le canzoni sono come figli, è impossibile sceglierne una: sono tutte importanti per me”. Io invece dirò: “Torna a Udi­ne”, perché è la canzone che mi fa capire chi è davvero “fan” di Ruggero e chi è so­lo lì per cantare “squirtiiiing”».
Che musica ascolta Andrea quando esce dagli abiti di Ruggero?
«Anche se prediligo le atmosfere acustiche, ascolto un po’ di tutto, dal rock all’elettronica. I miei preferiti di sempre sono “Rem”, “Radiohead”, “Queen” e “Ar­ca­de fire”. Ma non dimentichiamoci di Domenico Modu­gno e di Dean Mart­in. Ultima­men­te ascolto molto folk e “country” a­mericano, ma non chieder­mi il motivo, perché non lo so neanche io».
Si potrebbe dire che “Ruggero de ‘I timidi’” sia per Andrea Sam­bucco quello che Checco Zalone rappresenta per Luca Me­di­ci. Al di là dell’aspetto economico, le piacerebbe fare un tipo di percorso analogo, arrivando, per esempio, al cinema?
«Sì, possiamo dire che sono il Checco Zalone friulano, ma con meno soldi! Non ti nego che mi piacerebbe arrivare a un cortometraggio, ma in realtà vedo questa tappa molto lontana, mentre invece il mio percorso mi porta attraverso strade nuove, alcune impensabili al­l’inizio del progetto. Penso agli spettacoli di “cabaret” che porto a teatro, al “Vino timido (Rougero)” presentato a “Vini­taly” o ai “fumetti timidi” presentati a “Lucca comics”».

BaNNER
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