Sergio Moscone insegna presso l’istituto “Luigi Einaudi” e, oltre ad aver realizzato quattro monografie sulla materia, continua a studiarla

Sergio Moscone, di Ser­­ralunga d’Alba, è do­cente di geografia generale ed economica e di geografia del turismo, presso l’istituto d’istruzione superiore “Luigi Einaudi” di Alba. Ama ciò che insegna, di cui è uno degli ul­timi, purtroppo, cultori. Si è de­dicato alla di­vulgazione di questa materia e l’ha “vissuta” realizzando viaggi di studio in buona parte del pianeta.

Professor Moscone, come è nato in lei questo così grande amore per la geografia?
«è un’attrazione che avevo fin da bambino, ma che si è sviluppata nel tempo. Mi sono avvicinato alla materia poco alla vol­ta. Avendo titolo accademico (è laureato in lettere moderne presso l’Università di Torino, con la tesi su “Il mutualismo in Alba nella seconda metà del­l’Ottocento”, ndr), a un certo punto della mia attività professionale, ho sostenuto e superato un concorso ordinario per l’insegnamento nella scuola secondaria che mi ha permesso di passare direttamente dal la­voro in azienda alla scuola. In seguito ho continuato a studiare, conseguendo un dottorato di ricerca in geografia umana all’Università di Genova e un “master” in geografia e religione nel medesimo Ateneo. E così mi sono scoperto a fare come mestiere il “geografo”. Questo percorso poco alla volta mi ha portato nel mondo della geografia e mi ricorda un po’ l’avventura del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, il quale proprio alla geografia de­dica parole stupende».

Quanti libri ha scritto e pubblicato finora sulla materia?
«Alla geografia ho dedicato quat­tro monografie, oltre ad articoli scientifici e di ricerca pubblicati per convegni e corsi di aggiornamento o come contributi in libri di altri autori. Scri­vere libri mi è venuto naturale, perché volevo far partecipe gli studenti della bellezza e dell’utilità della materia. Così, nel lontano 1998, quando l’allora ministro dell’istruzione, Luigi Berlinguer, propose di eliminare del tutto la geografia dai “curricula” scolastici, decisi di scrivere “Geografia sì, grazie”, in difesa della disciplina. Da allora non ho più smesso, intervallando libri ad articoli o approfondimenti».

Lei che vive a Serralunga, nel cuore della zona del Barolo Docg, cosa può dirci in merito ai cambiamenti del no­stro territorio avvenuti negli ul­timi decenni?
«Il territorio è sempre in cambiamento. è il risultato finale, ma mai concluso, dell’interazione tra lo spazio, gli elementi naturali e gli elementi antropici. Per forza di cose è sempre in mutazione. Tuttavia gli ultimi decenni hanno visto una velocizzazione incredibile di tali cambiamenti, purtroppo non sempre tutti positivi. Si pensi ad esempio alla monocoltura che di fatto ha cancellato la po­licoltura nelle Langhe vitate. I vigneti hanno trasformato l’am­­biente in una nuova forma di omogenizzazione spaziale, la policoltura è pressoché scomparsa, come sono spariti i piccoli boschi che occupavano gli impluvi e proteggevano i versanti collinari più acclivi. C’è stata un’evidente perdita di biodiversità, accompagnata da una profonda trasformazione della proprietà fondiaria contadina, sempre più accentrata in poche mani, che, di fatto, si delinea come una sorta di neofeudalesimo agrario».

Suo fratello, padre Franco, da poco nominato arcivescovo di Manfredonia, Vieste e San Gio­vanni Rotondo, cosa dice di questa sua originale passione per la geografia?
«Beh, anche lui può essere considerato in un certo qual modo un geografo. Durante gli anni in cui è stato superiore generale dei Padri somaschi, ha viaggiato moltissimo, visitando più volte le varie case religiose che la Congregazione possiede nel mondo. Non c’è continente in cui non abbia soggiornato. Ciò gli ha permesso di conoscere direttamente luoghi e situazioni. Come si dice tra gli studiosi della materia, la geografia si fa prima di tutto con i “piedi”, ossia andando sul posto, e direi che mio fratello questo l’ha fatto davvero. A proposito di Paesi e luoghi visitati, di sicuro lui mi supera di molto! Proba­bilmente sono proprio caratteristiche insite in noi il viaggiare, lo spostarsi, il conoscere, l’osservare, lo scrivere e il continuare a studiare. Mio figlio è a Londra per un “master” che lo impegnerà un anno intero e mia figlia è in partenza per Ber­na, per un dottorato di ricerca presso la locale Università. Già mio nonno, classe 1884, visse tre anni in Argentina come mi­grante. Quindi in fatto di geografia con i “piedi” direi che la mia famiglia la pratica già da molto tempo».

Cosa pensa della brutta fine che i governi, di tutti i colori, hanno fatto fare alla materia “geografia” e, ora, alla “storia”?
«Ciò che non era riuscito a fare Lui Berlinguer (centro.sinistra) l’ha concretizzato la riforma Gelmini (centro-destra) che, di fatto, ha cancellato la geografia. La sorte che tocca ora alla storia, la geografia l’ha già vissuta. Tranne i tecnici economici, dove è rimasta nel biennio, in tutti i percorsi di scuola secondaria superiore la geografia di fatto non esiste più. Come sia possibile costruire un futuro senza geografia e senza storia, ossia senza “luoghi” e senza “tempo” è difficile da capire. Forse non lo sanno nemmeno i politici che hanno preso queste assurde decisioni».

Professor Moscone, lei che insegna ad Alba, vuole lasciare ai giovani che leggono “IDEA” un messaggio personale?
«Vorrei ricordare loro che la geografia prima di tutto non si studia, ma si vive giorno per giorno. Tutti siamo un “luogo” e un “tempo”, quindi siamo geo­grafia e storia, a prescindere dalle materie presenti a scuola. Lo spazio e il tempo non si potranno mai cancellare con leggi o decreti. I giovani possono continuare a tenere vivo il geografo che è in loro osservando, chiedendosi il perché delle cose, usando i piedi per andare a conoscere e vedere di persona i luoghi e le cose, per rendersi conto e farsi delle idee proprie, ossia per usare la loro testa e non quella degli altri o dei “social”. La geografia è la scienza dei luoghi: senza un dove non c’è neanche un quando. Se si impara a tenere in vita il proprio “dove”, si terrà in vita an­che il proprio futuro. Per questo continuo a sostenere che tutti noi, in un momento così assurdo per la disciplina, abbiamo l’obbligo morale di lottare, per una nuova “geografia capace di futuro” che si dovrà praticare sempre più fuori dalle aule e dai “curricula” scolatici».